sabato 27 ottobre 2018
domenica 8 luglio 2018
Possibili ritorni
«Credo che se sono diventato un certo tipo di scrittore, lo
devo alla passione antifascista.
La mia sensibilità al fascismo continua ad essere assai
forte, la riconosco ovunque ed in ogni luogo, persino quando riveste i panni
dell’antifascismo, e resto sensibile all’eternamente possibile fascismo
italiano.
Il fascismo non è morto.
Quando tra gli imbecilli ed i furbi si stabilisce una
alleanza, state bene attenti che il fascismo è alle porte.»
Leonardo Sciascia
in M. Padovani, La Sicilia come metafora,
Milano,1989, p. 85.
domenica 14 gennaio 2018
Giuseppe Leone, il paesaggio e la fotografia
Un articolo di N. Giaramidaro, del 2014, sul grande fotografo ragusano Giuseppe Leone.
Da Edizioni Kalós •
4 aprile 2014
“Il paesaggio è il grande malato
d’Italia. Quello che fu il Bel Paese fa scempio di se stesso, è sommerso dal
cemento. Che cosa sta succedendo agli italiani, che cosa ci acceca? È ancora
possibile indignarsi, recuperare memoria storica, riguadagnare spazio
all’insegna della Costituzione?” Queste le domande a proposito del libro di
Salvatore Settis “Paesaggio Costituzione cemento – la battaglia per
l’ambiente contro il degrado civile”.
Estrapolando dalle pagine del grande
archeologo si legge: “I danni al paesaggio ci colpiscono tutti, come individui
e come collettività. Uccidono la memoria storica, feriscono la nostra salute
fisica e mentale, offendono i diritti delle generazioni future. L’ambiente è
devastato impunemente ogni giorno, il pubblico interesse calpestato per il
profitto di pochi. Le leggi che dovrebbero proteggerci sono dominate da un
paralizzante “fuoco amico” fra poteri pubblici, dai conflitti di competenza fra
Stato e Regioni. Ma in questo labirinto è necessario trovare la strada… È
necessario un nuovo discorso sul
paesaggio... La qualità del paesaggio e dell’ambiente non è un lusso, è una
necessità, è il miglior investimento sul nostro futuro. Non può essere svenduta
a nessun prezzo. Contro la colpevole inerzia di troppi politici, è necessaria
una forte azione popolare che
rimetta sul tappeto il tema del bene
comune come fondamento della democrazia, della libertà, della
legalità, dell’uguaglianza”. Scheletri edilizi, città industriali morte, strade
che finiscono nel nulla: “paesaggi” che fanno pensare a bombardamenti di guerre
mai combattute se non clandestinamente, a colpi di mazzette. E’ un panorama che
ci è familiare.
Una mano sembra darla la fotografia.
Ma – dice Roland Barthes – “fotografare è un po’ morire”. Andate a dirlo a
Giuseppe Leone, se riuscite a trovarlo fra i muri a secco delle pianure iblee,
tra casali, carrubi, trazzere, olivi saraceni, acciottolati con pietre
d’inciampo e lisci, paesotti più giù o più su sulle linee ortogonali del suo
Summilux. Fra i riti delle feste religiose che sembrano “paesaggi” antropomorfi
con la loro ripetitività sempre diseguale: un abbozzo di gesto che muta la
scena come un nuovo germoglio nella campagna, un albero caduto, un muro che non
c’è più, un abbandono ancora impunemente maturato.
Peppino Leone fotografo con l’occhio
veloce, uomo dalle visioni rapide, abbastanza piccolo per sfuggire alle
lentezze degli over un metro e ottanta, sorriso che spalanca porte e
qualcos’altro, sapienza estro e immaginazione che altrove determinano fortune
senza freni. E’ il fotografo che più di tutti, in Sicilia, ha fotografato il
paesaggio. Non conosciamo le campagne né le topografie urbane delle altre
province così come quelle ragusane, scoperte con emozione sui libri firmati da
Leone, oppure svelate dai 30×40 in bianco e nero delle sue oramai innumerevoli
mostre.
Immagini ritagliate con il “rasoio di
Ockham”, cioè scelte semplici, con l’obiettivo attento a togliere il
soverchiante per riprendere senza arzigogoli nella forma e nella sostanza: un
rettangolo pulito di bianchi, grigi e neri, oppure di colori che non escono
dalle loro ragionevoli gradazioni. La memoria. Anche se secondo Emil Cioran “La
sola funzione della memoria è aiutarci a rimpiangere”. Ma Alexander von
Humboldt diceva che si deve “ritrarre il paesaggio come forma di conoscenza”,
almeno.
Quindi niente vedute, belvederi,
panorami, landscapes. Peppino Leone non vuole suscitare il desiderio di
visitare i luoghi, i suoi luoghi; il suo fine non è la meraviglia – lui che è
nato e vive nel barocco siciliano – ma fornire elementi di riflessione sull’ormai
drammatico rapporto uomo-natura. Posso utilizzare una frase di Cornell Capa,
fratello del più famoso Robert, a proposito del paesaggio, dei luoghi di
Peppino Leone: “Mostrare le cose che devono essere corrette e mostrare le cose
che devono essere apprezzate”. E Moholy Nagy soggiunge: “Bisogna contribuire
alla costruzione del proprio tempo con i mezzi che gli sono propri”. Anche con
la fotografia.
Possiamo imparentare Leone con gli
americani della “Neotopografia”, Stephen Shore, Robert Adams e diversi altri
che hanno nomi più difficili da pronunciare. Fotografavano, e continuano a
fotografare, il paesaggio alterato dall’uomo.
Non è un caso che il primo libro di
Leone, “La pietra vissuta”, pubblicato da Sellerio nel 1978, oltre a un testo
sul paesaggio dell’architetto Mario Giorgianni, contenga un saggio di Rosario
Assunto, filosofo delle forme e precursore della tutela del paesaggio “naturale
o progettato dall’uomo”. Nel suo fondamentale libro del ’73 (edizioni
Novecento) “Il paesaggio e l’estetica”, si può intravedere il problema di fondo
che il filosofo si pone: le categorie, anzi la “categoria”, cioè la bellezza,
“l’idea che tutte le altre riunifica e in cui si affratella la verità e il
bene”.
C’è nelle fotografie di Leone, fra
carrubi, noci, muri di pietra, guglie di montagne e campanili, preziose
facciate e miraggi siciliani un riverbero non lieve dell’idea di bellezza così
come intesa dal nisseno Assunto; bellezza che tramuta una veduta, una
panoramica in un paesaggio dal quale traspare la storia dell’uomo e quella
della natura.
Per questo mi autorizzo a sospettare
che i luoghi di Montalbano sono come scelti da Peppino Leone:
Montalbano-Camilleri, seppure nella finzione e nella finzione della finzione,
non hanno potuto sottrarsi alla ineluttabilità della bellezza.
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