lunedì 1 dicembre 2014

Notizie storiche sulla chiesa di S. Giuseppe di Chiaramonte Gulfi


Una testimonianza della prima chiesa, in parte poi crollata col sisma del 1693, è il portale laterale, ancora ben conservato, ascrivibile a Simone Mellini (sec. VXII).


L’aspetto attuale

La Chiesa di S. Giuseppe di Chiaramonte Gulfi sorge nel centro storico, a poca distanza  dalla piazza Duomo.
Il prospetto, volto a sud, si eleva su una breve gradinata.
L’interno, ad unica navata, è scandito da lesene, lievemente sporgenti, che evidenziano la sequenza delle cappelle laterali interrotte, al centro di ogni lato, da due eleganti aperture. Il decoro e gli stucchi divengono esuberanti nell’abside semicircolare dove le colonne corinzie percorrono maestose il perimetro in un gioco di pieni e vuoti – accentuato dalle quattro nicchie contenenti le statue di S. Anna, S. Elisabetta, S. Gioacchino e S. Zaccaria – che esaltano la cappella centrale (contenente nel passato, pala e statua del titolare) al cui culmine (catino absidale) erompe il gruppo scultoreo, in stucco, della Assunzione di Maria.
La facciata, sebbene modestamente semplice, acquista maestosità per la posizione angusta che la fa emergere sugli edifici circostanti, ed eleganza per lo snello portale sovrastato dal finestrone centrale (oggi murato) che accentua lo slancio verso l’alto, alleggerendone la mole.
L’originario aspetto del prospetto è, oggi, distorto per la mancanza di elementi scomparsi o modificati nel corso degli ultimi 150 anni; principalmente due: il campanile laterale e il Collegio delle vergini, edificati intorno al 1755.
Il collegio, fatiscente, fu demolito intorno al 1980 e al suo posto costruito un moderno edificio pubblico, destinato a servizi sociali ed uffici AUSL. Il campanile, che nell’unica documentazione iconografica giunta a noi è rappresentato più alto del prospetto, dovette essere demolito intorno al 1850, e sostituito con quello attuale, la cui tipologia è rintracciabile in diversi interventi coevi.
Dal XVII secolo vi si riunivano il consiglio civico per le deliberazioni e le  corporazioni e maestranze per l’elezione dei «consoli» da parte dell’assemblea generale.

La fondazione

Intorno al 1623 fu edificata, nell’attuale sito, una piccola chiesa dedicata al patriarca S. Giuseppe1, che fu portata a termine in breve tempo2.
Tra le maestranze che la edificarono fu determinante l’apporto di uno scultore chiaramontano, che i memorialisti locali identificano col nome di Simone Mellini, un tardo gaginiano, al quale venivano attribuite la monumentale struttura dell’abside e le sculture della cappella centrale3.
Una testimonianza di questa prima chiesa, in parte poi crollata col sisma del 1693, è il portale laterale, ancora ben conservato, ascrivibile al citato Mellini.
 Simone Mellini operante a Chiaramonte dagli inizi del ‘600 è ritenuto dagli scrittori locali, specie dal Melfi che purtroppo non dichiara le fonti storiche o documentarie da cui trae notizia, l’artefice di gran parte delle strutture architettoniche o plastiche tardo rinascimentali, alcune giunte sino a noi.
Per citarne alcune, in ordine cronologico, le statue di S. Vito e S. Francesco di Paola del prospetto della Chiesa Madre e quelle non più esistenti di S. Pietro e S. Paolo che ornavano il recinto antistante, scomparso con le riforme settecentesche e successive della piazza, ed una cappella interna non più esistente; la cappella maggiore della chiesa delle Grazie (chiesa edificata a partire dal 1616) e quella somigliante del Crocifisso nella chiesa di S. Maria di Gesù.
Come fosse questo primitivo edificio sacro possiamo desumerlo dai resti e dalle testimonianze storiche: ad unica navata, abside coincidente con l’attuale, più corto di circa un terzo.
L’ultimo dato e facilmente riscontrabile, nell’ubicazione dell’antica porta, oggi murata all’esterno e riutilizzata all’interno come nicchia.  Sulla valenza di questa apertura, quale porta principale (il Nicosia, storico locale accorto e ben documentato, dà questa indicazione), o laterale e quindi secondaria, come appare più logico, non si hanno riscontri. Non conoscendosi la sistemazione topografica ed urbanistica del quartiere (denominato allora, S. Francesco).




La ricostruzione

La chiesa fu ristrutturata ed ingrandita, a seguito del citato sisma, nei primi anni del XVIII secolo.
Nella seconda metà del secolo la chiesa viene decorata con stucchi ed adornata di pitture e sculture. Ad un Gianforma, verosimilmente Giovanni, sono attribuiti gli stucchi (notevole il gruppo dell’Assunzione di Maria, nel catino absidale).
Tra il 1737 (statua lignea del titolare) ed il 1775 (S. Ignazio di Loyola, dipinto del netino Costantino Carasi) si completa l’arredo d’altari e cappelle4.


La «nuova chiesa»

Dal 1751 al 1860 la storia degli interventi è documentata nei “registri di introito ed esito” della chiesa5. Ed è interessante perché evidenzia una serie di problemi di staticità dell’edificio riconducibili, non soltanto a deficienze costruttive ma ancor più ad una instabilità del suolo rilevata anche da un  recente studio geologico per i restauri in corso.
Una costante dell’architettura religiosa iblea è il lento protrarsi, per quasi tutto il secolo successivo al sisma, dei lavori di ricostruzione o ristrutturazione degli edifici sacri. Nel caso della chiesa di S. Giuseppe a quest’aspetto usuale si aggiunge un continuo consolidamento dell’edificio, determinato dalle cause endemiche e strutturali, cui si è accennato sopra.
L’abside con la cappella maggiore è quella che richiederà maggiori interventi, assieme alla volta ed al lato occidentale.
Il Melfi ritiene che la monumentale struttura dell’altare del titolare, opera del mastro scalpellino Simone Mellini, risalente alla fase iniziale della costruzione della chiesa (sec. XVII) sia sopravvissuta al terremoto. E in parte c’era del vero nella testimonianza che mutuava da documentazione e memoria popolare. Soltanto che non è giunta fino a noi. Quella attuale, che riecheggia moduli e stilemi del maestro tardo gaginiano, è frutto di intervento ricostruttivo della metà settecento. Ne abbiamo documentazione in un mandato di pagamento (1 novembre 1752), di 5 onze, a mastro Giuseppe Sciacco «per compra di pietre per il nuovo cappellone».
Il capomastro Giuseppe Sciacco apparteneva ad una famiglia di murifabbri, operanti a Chiaramonte dalla ricostruzione post terremoto e fino alla metà del secolo da poco trascorso. Nel decennio precedente, difatti, aveva lavorato all’edificazione del campanile della Chiesa di S. Maria La Vetere (meglio nota, oggi, come Santuario di Gulfi)6.
Pur mancando le indicazioni delle maestranze per tutto il decennio successivo si ha documentazione di lavori vari: «restaurare il tetto della chiesa», «fare il pavimento del nuovo Cappellone». Anzi Dal 1766 si parla esplicitamente di «fabrica della nuova chiesa». Le somme erogate, sono considerevoli, specie se si tiene conto che una parte delle spese - le offerte spontanee di notabili o devoti - non venivano rendicontate.
Nei lavori appare un altro capomastro, il ragusano Giorgio Pulichino, per il quale il 5 maggio 1769  il notaio Matteo Ventura Sanctis rilascia àpoca (quietanza di pagamento) per onze 12 «a buon conto delli pezzi fatti e trasportati pella nuova fabbrica».
Interessante un mandato di pagamento del 1774 nel quale come caparra vengono liquidate 4 onze a M. Carmelo Spagna e non meglio precisato «compagno di Siracusa» per arredi tra cui «cornici delli quadri»; cornici che dovettero servire, con probante sicurezza, per i 4 quadri delle cappelle laterali (S. Ignazio di Loyola, S. Eligio, S. Francesco di Paola, Madonna delle Grazie) per i quali i due storici locali Nicosia e Melfi ipotizzavano le date di esecuzione (da documenti certamente in loro possesso ma a noi sconosciuti) attorno al 1775.


Interventi di consolidamento e restauro nel secolo XIX

Col nuovo secolo iniziano una serie ininterrotta d’interventi, a volte ripetuti, che interessano spesso la staticità dell’edificio piuttosto che l’ornamento.
Nel 1835 viene ricostruita la volta. Dalle note di pagamento non si evince se a causa di un cedimento o per rinnovare la parte terminale dell’edificio.
Vi intervengano diverse maestranze: falegnami, carpentieri, muratori e “mastri di maramma”. I lavori hanno inizio nella primavera del 1835 quando viene approntato il «legname necessario nella costruzione della volta, giusto l’estimo di M. Michele Ballato e M. Carmelo Ragusa». Quest’ultimo è un mastro falegname di fiducia della chiesa, che troviamo associato, in questa fase, ai mastri “marammieri” Salvatore e Santo Fornaro, rispettivamente padre e figlio. Il completamento avviene l’anno successivo. L’annotazione di pagamento datata 29 settembre 1836 si riferisce, infatti, a lavori conclusivi quali «listone e volta, i canali e tetto, le brodate nella volta», le tegole (provenienti «dalla campagna di S. Margherita», zona ricca di creta e dove erano operanti diverse fornaci per la fabbricazione dei coppi).
Della pavimentazione con «balate di pietra forte» e «contorno di pietra nera», oggi non c’è più traccia.
E’ a seguito dei lavori precedenti, che il pavimento della chiesa necessita di restauro: si desume da una nota del 22 marzo 1837 per «compra di calce necessaria per acconciare il pavimento della Chiesa» e «per un giorno di M. Pietro D’Angelo ed un manovale per acconciare detto pavimento».
Sono lo stesso D’Angelo «marammiere» e mastro Raimondo Calabrese, appartenente ad altra famiglia di capomastri operante a Chiaramonte dal post terremoto al secolo scorso, che dall’ottobre 1838 all’agosto 1841 sistemano la pavimentazione «intagliando e sittando le balate». Con un lasso di tempo lungo che evidenzia un lavoro “in economia”.

A distanza di dieci anni la struttura della chiesa, specie la parte apicale, torna a manifestare segni di cedimento.
Necessitano di consolidamento: la volta, «l’arco del Cappellone che minacciava rovina», le pareti, specie quella occidentale, il prospetto.
Per evitare un collasso della struttura viene «sfabbricata la fabrica che poggiava sopra l’Arco Maggiore» poi si passa a «scaricare l’arco e fare il tetto mettere il trabe ed i forbici per levare il peso sopra l’arco» «chiudere le fessure, acconciare la loggetta» «chiudere e murare le fessure nella facciata di fuori e dentro il Cappellone».
I lavori furono eseguiti nel 1845.
I robusti contrafforti con ampie arcate, appoggiati alla parete occidentale, appartengono con molta probabilità a quest’intervento di consolidamento.
Il problema resta insoluto. Nei primi del settembre 1850 necessitava «la formazione di quattro catene di ferro perché la chiesa minacciava rovina».
L’intervento è affidato ai mastri Salvatore e Santo Fornaro, che già nel 1835 avevano consolidato la volta. Si tratta di «situare le catene» e sistemare la copertura consolidandola col gesso.

Nel 1856 in consonanza con quanto avveniva in altre chiese del comune, viene ripitturato e restaurato l’interno.
Artefice e primo finanziatore fu il rettore della chiesa Don Emanuele Nobile, che ne ha lasciato testimonianza autografa nella premessa all’esito dal 1 giugno 1856 sino ad agosto 1857:
«Si avverte che in quest’anno fu intonacata e pittata la chiesa e fatto tutto quanto che fu bisognevole; per la sola pittura furono impiegati onze 40, oltre a tutt’altro, e che la spesa ammontò a circa onze 100 …»
Fu l’intervento più notevole, dopo quello del 1750-70, sia come consolidamento che come abbellimento e restauro. Furono aggiunte pitture, tra le quali, anche se non citate espressamente i 5 affreschi in eleganti tondi, opera di Gaetano Distefano (1809-1896); fu rinnovato l’altare maggiore, la parte in pietra (con “balate petrapece”) opera di mastro Carmelo Pulichino, la struttura in legno dello scultore Rosario Distefano (1789-1874); furono realizzati arredi, le sedie presbiteriali opera di Salvatore Puccio (1812-1904), il confessionale -pergamo opera di Rosario Distefano .
Fu pitturato e decorato l’interno, compresa la volta (tenue azzurro e giallo ocra), indorati gli altari.
Purtroppo fu anche l’ultimo intervento in consonanza ed equilibrio stilistico.
Pochi anni dopo, nel 1860, con la “costruzione dell’organo” si ha la prima rozza sovrastruttura. Si continuerà col saccheggio di decori e fregi, per allestire l’annuale “apparato festivo” (l’uso indiscriminato di chiodi, tavole, e addobbi è testimoniato nel registro degli esiti alla voce “Festa del Patriarca”). E con le pulizie ed imbiancature delle pareti, che hanno cancellato la patina pittorica ottocentesca (oggi scomparsa del tutto).

Nel secolo da poco scorso, si è acuito il degrado: alla decadenza delle strutture si è aggiunta l’incuria per le opere pittoriche (tutti i dipinti necessitano di un radicale restauro), per le sculture (le quattro statue dell’abside furono ricoperte da un melenso strato di pittura), per gli arredi (l’altare e il confessionale-pergamo del Distefano, smembrati e fatiscenti).
L’intervento di consolidamento e restauro, in corso, giunge opportuno; restituirà un piccolo gioiello tardo barocco, alla fruizione del pubblico.
  

_________

Note esplicative

1) «Da un atto del notaro Sebastiano Occhipinti si rileva che nel 1623 fu edificata la chiesa di S. Giuseppe. Essa era però allora più piccola, e vi si entrava per la porta or chiusa, che sporge in via S. Francesco.» S. Nicosia, Notizie storiche su Chiaramonte Gulfi, Ragusa, 1882; pag. 204

2) «Crescendo sempre la pietà dei fedeli, non ostante nel comune fosse stato alzato da poco un convento, sullo scorcio del 1623, il vicerettore Matteo Acciarito, fece gettare le fondamenta di una chiesetta in onore di S. Giuseppe. Il popolo però onde essere preservato dalla peste, portata nel seguente anno 1624 da una galera proveniente dall’Africa carica di schiavi ricomprati dalla carità siciliana, fece sì che fosse presto portata a termine.» C. Melfi, Cenni storici sulla città di Chiaramonte Gulfi, Ragusa, 1912; pag. 98.

3) «Di fatto nel 1623 ebbe principio l’erezione della piccola chiesa di S. Giuseppe, la cui decorazione fu commessa al Mellini. Però questa chiesa nel susseguente secolo fu prolungata e decorata di stucchi e dei lavori del Mellini rimase non innovato l’abside attorno al quale sono otto colonne corinzie con ricche decorazioni nei zoccoli, nel tergo dei fusti e nei capitelli, sui quali posa una elegantissima architravata con finissimi bassorilievi sottoposta ad una cornice con un addentellato seguito da leggiadri intagli.» C. Melfi, Le opere del Mancino e del Berrettaro in Chiaramonte, Noto, 1929; pag. 21.
La figura dell’architetto Simone Mellini e la collocazione temporale della fondazione della chiesa di S. Giuseppe fu desunta dagli storici Nicosia e Melfi (specie quest’ultimo che consultò archivi ed ebbe documentazione di prima mano) da un atto del 1623 rogato dal notaio Occhipinti ; purtroppo oggi non più riscontrabile in quanto il volume relativo all’anno 1623, custodito presso l’Archivio di Stato, sezione di Modica, è deteriorato e non consultabile.  SASM, Notaio Sebastiano Occhipinti (1611-1628), vol. 8.
Simone Mellini operante dagli inizi del ‘600 è ritenuto dagli scrittori locali, specie dal Melfi che purtroppo non dichiara le fonti storiche o documentarie da cui trae notizia, l’artefice di gran parte delle strutture architettoniche o plastiche, tardo rinascimentali, alcune giunte sino a noi. Per citarne alcune, in ordine cronologico, le statue di S. Vito e S. Francesco di Paola del prospetto della Chiesa Madre e quelle non più esistenti di S. Pietro e S. Paolo che ornavano il recinto antistante, scomparso con le riforme settecentesche e successive della piazza, ed una cappella interna non più esistente; la piccola chiesa di S. Giuseppe, della quale ci resta una porta laterale (a sud ovest) di sobria eleganza; la cappella maggiore della chiesa delle Grazie (chiesa edificata a partire dal 1616) e quella somigliante del Crocifisso nella chiesa di S. Maria di Gesù.

4) Tra i dipinti e le sculture posseduti dalla chiesa di S. Giuseppe, oggi sono ancora esistenti:
S. Giuseppe, una grande tela (320 x 230) un tempo sull’altare Maggiore; olio di autore ignoto, di mediocre pregio, del secolo XVIII. E’ stato restaurato negli ultimi decenni.
S. Ignazio di Loyola, attr. a Costantino Carasi (Noto 1717 – 1779), tela di cm. 300 x 200. Primo altare parete destra. L’attribuzione al Carasi è ipotizzabile sia per la testimonianza del Melfi (Le opere del Mancini e del Berrettaro, Noto, 1929; pag.38) «Nel 1775 i Giurati chiamarono il notinese Costantino Garrasi (sic) al quale, a loro spese fecero eseguire la tela di S. Ignazio di Loyola per la chiesa di S. Giuseppe», sia per confronto stilistico con le sue opere ampiamente presenti nell’area siracusana e ragusana. Numerosi studi ( Citti Siracusano, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma, 1986; G: Barbera (a cura), Opere d’arte restaurate nella provincia di Siracusa e Ragusa, II, Siracusa, 1989 (scheda 20); F. Balsamo, Costantino Carasi, protagonista della pittura netina del Settecento,in QdM, Siracusa 1998) hanno definito artista ed opere.
S. Francesco di Paola, attr. a Giovannino Ventura, pittore chiaramontano vissuto nel XVIII secolo operante dalla seconda metà del Settecento. Figlio del più noto Simone è modesto pittore orbitante nell’area degli epigoni del D’Anna e Sozzi. Tela di cm 230 x320, oggi in cattivo stato di conservazione.
S. Eligio, olio d’autore ignoto. Datato «1776», in un cartiglio in basso a destra. E’ posto nel primo altare della parete sinistra.
Madonna delle Grazie, attr. dai locali a Vito D’Anna, ma certamente opera di un epigono. Misura cm 300x 200; è posto nel secondo altare della parete sinistra. 
S. Giuseppe, statua lignea, colorata. Datata 1737. La tradizione popolare la attribuisce a non precisato artista palermitano. Potrebbe appartenere alla bottega del Bagnasco. Le eleganti aureole del Patriarca e del Bambin Gesù, in argento sbalzato, sono opera di Salvatore Puccio (rispettivamente, firmate e datate: S. Puccio 1867,  1873).
Assunzione di Maria, gruppo scultoreo (stucchi bianchi e colorati) che sormonta la cappella di S. Giuseppe in alto al centro del catino absidale. Vengono attribuiti dai memorialisti locali a Giovanni Gianforma. E’ attestata nella seconda metà del secolo XVII la presenza dell’artista nell’area iblea. Più che probante la sua paternità.
Affreschi (5 tondi sulle pareti con episodi della vita di S. Giuseppe, Arcangelo Gabrile e S. Michele Arcangelo).
Via Crucis (olio su lastre di zinco) opera del Sac. Gaetano Distefano.
S. Anna, S. Gioacchino, S. Elisabetta, S. Zaccaria: quattro statue in pietra attribuite dagli storici locali a Benedetto Cultraro, scultore chiaramontano vissuto a cavallo del XVIII secolo; ma sembrano piuttosto essere parte della decorazione del Mellini, a cui, per confronto stilistico con le altre opere esistenti in Chiaramonte e specie con le due statue di S. Vito e S. Francesco di Paola  del prospetto della Chiesa Madre, si possono con maggior verosimiglianza attribuire. Il recente restauro, ha evidenziato a seguito della pulitura delle quattro statue il loro connotato seicentesco (compresa la decorazione con cromie forti che era stata nascosta dalle numerose ridipinture).

5) Due volumi custoditi nell’archivio parrocchiale della Chiesa Madre. Il primo riporta le annotazioni relative agli anni 1751/1803 ed il secondo, agli anni 1774/ 1860; la sovrapposizione di date tra i due volumi, come l’ordine interno delle pagine o fogli discontinuo e disordinato, è derivato dal fatto che ciascun volume raccoglie fascicoli già sciolti e rilegati in un momento successivo.
Nel regesto il volume è indicato col numero romano, il foglio (recto a verso b) con cifra araba.
Tutte le note di pagamento, cui si fa riferimento nel testo, si trovano nella sezione documenti, elencate, per lo più integralmente, in ordine cronologico.

 6) 12 luglio 1745 - I procuratori della chiesa di Gulfi incaricano mastro Giuseppe Sciacco di Chiaramonte di «perfectionare il campanile già cominciato di detta Ven. Chiesa di Gulfi secondo il disegno che li daranno essi procuratori e d’intaglio di pietra della perrera della Valatazza della med. qualità che sono gli intagli della facciata di d. Chiesa e benvisto al rev. Sac. D. Stefano Cutello»  (SASM, notaio Pietro Antonio Bonelli, vol. 4 f. 752)

* Notizie storiche sulla chiesa di S. Giuseppe è tratto dal volume: Giuseppe Cultrera, Artisti & artigiani, aspetti e momenti dell’architettura religiosa a Chiaramonte, 2002