mercoledì 8 aprile 2015

Ville e villeggiatura

Architettura rurale - Ville e masserie iblee



Punteggiano, lievi ed eleganti, il paesaggio umano, immerse nel verde degli olivi, dei mandorli, dei carrubi, imprigionate dal dedalo bianco dei muri a secco: sono le ville rurali e le masserie sette‑ottocentesche sparse nel territorio ibleo (1). Sorsero nel secolo scorso in massima parte  ‑ alcune, specie le fattorie e masserie, risalgono agli inizi del secolo XVIII (2) ed alla ricostruzione post terremoto  ‑  ed ebbero funzioni ed utilizzo vario.
Espressione di una classe piccolo nobiliare o borghese agiata, rappresentano il legame affettivo alla proprietà rurale e l'alternativa, delle zone interne, alla villeggiatura estiva. A secondo della funzione, varia la tipologia costruttiva: un edificio semplice e snello a due piani per la villeggiatura, un edificio ampio, con la corte chiusa e con corredo di corpi minori quali opifici, case coloniche, cappella, magazzini per la masseria, da utilizzare tutto l'anno, durante i cicli di produzione (3).
E' chiaro che la grandezza dell'edificio e la vastità dell'eventuale giardino annesso sono in proporzione all'importanza, reale o pretesa, del proprietario.
Al loro moltiplicarsi contribuì, a partire dalla seconda metà ottocento, la trasformazione capitalistica delle campagne, con la diffusione sistematica dei campi chiusi, l'incentivazione dell'agricoltura intensiva e razionale, la costruzione delle strade di collegamento interno e della ferrovia, avviate dal governo dell'Italia unita (4).
Inoltre con la bonifica dei territorio, iniziata nel secolo precedente col disboscamento, una vasta porzione di campagna, specie nella fascia pianeggiante degradante verso la marina, fu recuperata alla coltivazione dei vigneti e all'impianto di nuovi oliveti.
Le fattorie e le case coloniche, perciò, si adattarono alla estrazione, immagazzinamento e commercializzazione dei prodotti agricoli: molti palmenti e frantoi datano da questa fase.
La famiglia del proprietario nel periodo estivo si trasferiva nelle abitazioni rurali (dove nel resto dell'anno abitava permanentemente fattore o soprastante) e partecipava o assisteva alle fasi di trebbiatura, alla bacchiatura e raccolta delle olive, mandorle e carrube, alla raccolta e pigiatura delle uve; e nel contempo trascorreva il periodo di villeggiatura nella accogliente parte della villa o masseria, che il proprietario aveva destinato a sè e ai famigliari (5).


Tipologia degli edifici rurali

Una suddivisione dei tipi di dimore rurali, è solo esemplificativa: ed è, tenendo conto degli studi di Aldo Pecora, Giorgio Valussi, Mario Giorgianni,  Annalena Lippi Guidi ecc. (6) che qui si dà sommaria descrizione.
Nell'area Iblea, in generale, possiamo dividerle in
a) masseria;
b) villa fattoria;
e) abitazione del coltivatore diretto;
d) casa di villeggiatura.
Escludendo le strutture di più modesta entità (quali ricoveri, magazzini, edifici sacrali extraurbani) che potrebbero formare un altro paio di categorie.
La Masseria è senz'altro la più antica struttura abitativa rurale; corrispondeva alle massae, alle cortes, alle castra medioevali (7), e pur non essendo tanto antiche, conservano di quelle progenitrici, tipologie e modelli.
La costruzione ad esempio in luogo elevato, spesso impervio e brullo: il ché produceva due vantaggi, l'utilizzo della porzione di terreno meno coltivabile e il controllo del feudo o proprietà, oltre alla facilità di difesa da possibili nemici. Che erano, dal secolo XVII al XIX, periodo al quale appartengono molte di queste masserie tutt'ora esistenti, i briganti che liberamente scorazzavano nel territorio e, specie di notte, tentavano qualche sortita (8). Sicché l'ingresso era protetto da una piccola torre o terrazza di avvistamento, con numerose feritoie per respingere, senza essere colpiti l'assalitore, e un piccolo vestibolo dove venivano deposte le armi. Ovviamente questo tipo di struttura è a corte chiusa, con tutte le aperture che si affacciano sul cortile (bàgghiu) interno, e solo strette finestre, o prese d'aria munite di robuste inferriate che danno sull'esterno; in alcune (es. la masseria di Casasia, territorio di Monterosso) le feritoie sono attorno a tutto l'edificio, con raddoppiata funzione di difesa. La costruzione denota, quasi sempre, assenza di schemi progettuali; e si evince, la vicenda costruttiva, dai numerosi aggiustamenti e rimaneggiamenti che producono la sovrapposizione di un corpo o l'aggiunta di un magazzino, o del piano rialzato per il proprietario; o persino di una chiesetta per le funzioni religiose domenicali.
Spesso questo edificio sorge accanto o ingloba una struttura antica preesistente, bizantina o medievale, più comunemente una torre di avvistamento medievale (9) o si accosta a grotte ancora più antiche, primitivi ricoveri o rudimentali palmenti e frantoi, che ingloba come nucleo laterale (10).
In funzione del ciclo produttivo e dell'ubicazione si può distinguere, secondo una acuta classificazione di A. Pecora (11) in:

a) ragusana (comune nell'altopiano ragusano e modicano) con preminenza dell'allevamento bovino e coltura di fieno e granaglie per le bestie; struttura a corte chiusa ed aperta, corpi allineati o giustapposti, pietra da intaglio (ricavata dal calcare affiorante sull'altopiano) per gli stipiti delle porte e finestre, i cantonali, gli archi, il basolato. L'abitazione è circondata da numerosi muri a secco per proteggere ‑ dal passaggio e dalla voracità degli animali ‑ gli alberi da frutto, da ombra, il piccolo orto ecc. E', generalmente, relativamente più recente e più piccola della masseria comune al resto della Sicilia e del territorio íbleo.

b) Siracusana, più comune nella Sicilia sud orientale, e per quanto riguarda l'aria nostra, nel territorio di Comiso, Vittoria, Acate, Chiararnonte, Giarratana, Monterosso, Ispica e Scicli.
Come detto, è più complessa come struttura, con ancora la preminenza del tipo a corte chiusa. Presenta, oltre all'abitazione dei lavoratori, la casa sopraelevata, del padrone e i magazzini e le stalle, gli opifici, quali il frantoio per l'estrazione dell'olio e il palmento per la pigiatura delle uve, Il cortile interno (bàgghiu) è più ampio del tipo ragusano, ha al centro o su un lato corto, il pozzo o la cisterna, sedili e panche in pietra (ticcène) numerosi ganci in pietra o ferro (úccule) per legarvi le bestie da soma; un ampio locale per ospitare il bracciantato avventizio, numeroso nel periodo della raccolta delle uve e delle olive, della semina, mietitura e trebbiatura.
Se la masseria è grande, è sempre presente una cappella, per non interrompere il cielo lavorativo, e permettere le pratiche devozionali, specie il precetto domenicale, al numeroso bracciantato, la maggior parte del quale era spesso costituito da donne.

Ad un periodo successivo, fine settecento e ottocento, appartiene il tipo di villa fattoria collegata a un fondo di media estensione, con corpo centrato e disposizione su due piani, corte aperta, spesso elegante scalone di accesso, pianta quadrangolare con tetto a quattro falde, o a spiovente. Il piano superiore appartiene al padrone e alla sua famiglia; nei bassi, alloggiano il mezzadro, qualche occasionale lavorante, vi sono ubicate le stalle e i magazzini, a volte il palmento o il frantoio.
Espressione di una piccola nobiltà o di una borghesia agiata questo edificio rurale ha connotati estetici più ricercati; eleganza delle aperture, prospetto animato da leggere paraste, e qualche volta anche da colonne (12). L'interno ha saloni ampi e spesso decorati con pitture. In comune con la casa di villeggiatura (la cui funzione, dal XIX secolo, a volte, svolge nel periodo estivo) ha l’inclinazione all'eclettismo architettonico.

L'abitazione del coltivatore diretto è in piccolo la villa fattoria: abitazione di un solo agricoltore, agiato, padrone di un fondo di due/cinque ettari a seguito della quotizzazione dei demani feudali. Spesso ad un solo piano, ha semplicità di pianta e di materiali; non manca il magazzino per gli attrezzi, la carretteria (dalla seconda metà ottocento quando la costruzione delle strade permette l'utilizzo del carro agricolo) la  pagghialora, cisterna o pozzo sul davanti.

La casa di villeggiatura
Anche se inserite nel tessuto rurale, non sono finalizzate alla conduzione dell'azienda agricola o allo sfruttamento della campagna; sono altresì l'espressione di una nuova classe sociale, di nuove esigenze e l'esternazione di uno status raggiunto. La vacanza, vale a dire la pausa dal lavoro, è un concetto nuovo, estraneo alla pigra nobiltà sette ottocentesca, inattiva tutto l'anno, chiusa nei reiterati riti di gruppo.

La borghesia e i ricchi commercianti, spesso assurti attraverso matrimoni di comodo allo stato aristocratico, sono i principali committenti di queste eleganti strutture. La funzione esclusivamente di villeggiatura (è questo il termine in voga sul finire ottocento‑primi del novecento) rende superflui tutti i corpi edilizi destinati alla conduzione dell'azienda agricola o allevatrice: resta solo la struttura centrale, quella del padrone di casa, che si ingentilisce e si arricchisce di comodità od “otii” come si diceva allora.
La mano dell'architetto o del capo mastro è ora evidente, i fregi sono più numerosi e più ricercati, l'eclettismo è il credo dei progettisti.

Una variante minore di questo tipo di villa, è la "casina di villeggiatura" piccola struttura, spesso ad un solo piano, che ha la massima diffusione nei primi venti anni del 900. Sobria nell'impostazione è comunemente di ispirazione liberty; e si sviluppa poco distante dall'abitato, nella zona intermedia tra la campagna e la città.

Appartengono al periodo storico più vicino a noi, metà ottocento inizio del novecento e oltre, le ville sub urbane, destinate esclusivamente alla villeggiatura (13). Sono per molti versi gli esiti stilistici e costruttivi più interessanti: dove il committente esige dall'artigiano un prodotto che esprima lo status sociale raggiunto o l'appartenenza ad una classe già privilegiata, come era avvenuto per le dimore delle Città (14).


Cinque esemplificazioni

1 – MASSERIA TORRE VECCHIA, contrada Dirillo, Acate (1668)

Appartenente in origine ai principi Mirti, oggi è proprietà di una azienda vinicola. Masseria di tipo a recinto con due cortili attorno ai quali si dispongono le varie parti: abitazione del soprastante, del fattore, ambiente di servizio, cappella, casa del proprietario e (nell'altro cortile più piccolo) magazzini e abitazioni dei lavoranti. La struttura è oltre che imponente molto vasta; e il restauro e riadattamento funzionale recente, ha conservato l'aspetto originario.
L'epoca di edificazione si può far risalire alla fine dei secolo XVII, ne è testimonianza una iscrizione sull'architrave della cappella datata 1668. Evidentemente molti dei corpi minori aggiunti man mano sono di epoca successiva. Tra questi il trappeto e il palmento per la pigiatura delle uve o l'elegante basolato dei cortile interno con pozzo‑cisterna al centro.
L'abitazione del proprietario denota con la sua imponenza e l'eleganza delle soluzioni costruttive (la scala laterale di accesso al piano alto, le aperture sui prospetti) l'alto rango di appartenenza.


1 bis ‑ MASSERIA TORRE NUOVA, contrada Dirillo, Acate (secolo XVIII).

Alla fine settecento inizio ottocento appartiene questa altra masseria proprietà in origine dei conti Lanza. Gli edifici si sviluppano attorno ad un ampio atrio, tutti, ad esclusione della casa del fattore e del padrone, ad unico piano. 1 più recenti, datati 1934/1936, sono il trappeto e il palmento; ma fanno presumere che sostituiscano opifici più antichi sicuramente esistenti, data la prevalenza, nella zona, della coltura dell'olivo e della vite. E' l'evoluzione, sette ottocentesca, della masseria precedente.


VILLA FATTORIA VENTURA, contrada Pretepaolo, Chiaramonte Gulfi (1613/1780).

La villa Ventura, oggi Arezzo, in contrada Pretepaolo (territorio di Chiaramonte Gulfi) ha un iter costruttivo, documentato, dal 1613 al 1950. Tre corpi sovrapposti abbastanza ben integrati, rapporto con la campagna adiacente, economico e produttivo, continuato ed equilibrato: un esempio di azienda rurale funzionale funzionante dal suo nascere a tutt'oggi,

Sorge nella fertile vallata sottostante la città di Chiaramonte Gulfi, su una leggera altura. Risale per la parte più antica, come si diceva, ai primi anni del 1600 (la data 1613 era scolpita sul finale di un cantonale) (15); questa porzione di edificio è quella che occupa il lato nord est e nord ovest e che conserva la tipologia semplice e massiccia originaria sia nella facciata esterna che nelle scansioni interne. 1 balconi con ballatoi circolari e semplici mensole, le cornici aggettanti in pietra tenera intagliata; le aperture dei bassi in corrispondenza simmetrica di eguale semplicità, appena elusa nelle porte principali.

Più vistosamente pretenziosa la ristrutturazione, a partire dal 1780 (16), che sovrappose al lato sud ovest e sud est un prospetto neogotico, spostò l'accesso principale a sud proteggendolo con una corte chiusa. Nell'interno si ha la coesistenza dei due tempi dell'edificazione per cui si passa da un settore all'altro con piani sfalsati o addirittura con ribassamenti.
L'elegante nuovo prospetto è animato dalle aperture a sesto acuto nel piano terra, e dalle eleganti bifore nelle finestre del piano alto, tutte con abbondanza di fregi e di pietra intagliata; e ovviamente la vistosa parata di merli. Dello stesso periodo (1784) è la chiesetta che prospetta sulla corte aperta, sulla cui chiave di volte oltre alla citata data, troviamo lo stemma della famiglia Ventura, proprietaria fino alla fine ottocento della Villa e fondo. Questa chiesetta fu funzionante fino agli anni '60, e la messa domenicale raccoglieva oltre ai lavoranti del fondo, i vicini abitanti delle contrade Gerardo, Morana e Piano Zacchi. Altro pubblico raccoglievano, tra metà ottocento e fine secolo, i saloni della villa: punto di incontro della nobiltà agraria e della borghesia che nel proprietario il barone Filippo Nicastro Ventura, deputato del regno per più legislature, e longa manus del sindaco, aveva il proprio referente politico (17). Si diceva che in quelle stanze si prendessero le decisioni municipali e scelte politiche ed economiche generali sollecitate da istanze dei suoi clienti.

E ad una nobiltà e borghesia colta e protesa alla "bella vita" era finalizzata la villa nella sua ultima trasformazione ottocentesca: con il completamento dei corpi neogotici, le basole nei due cortili, il giardino ampio e ricco di ornamenti e piante esotiche (oggi sopraffatto dalla vegetazione; ma tracce del quale, specie nelle vicinanze della villa, testimoniano l'originalità e lo splendore passato, non ultimo alcune vestigia di pitturazione in stile pompeiano).

Agli inizi del novecento proprietà e villa passano alla famiglia Morso, un figlio dei quali l'estroso Franz Morso, tenterà la scalata politica come deputato. Che probabilmente è alla base delle difficoltà economiche che in seguito travaglieranno la famiglia fino alla cessione dell'azienda. Viene acquistata da una ricca famiglia ragusana, gli Arezzo, che tutt'ora la gestiscono. Un ultimo intervento sulla struttura edilizia avviene nel 1950: a seguito di lesioni sul lato nord est (il più antico) determinate dai sondaggi petroliferi nelle vicinanze a cura della Gulf Oil Co. La responsabile dell'incidente si occupa del consolidamento della parte lesionata e, a parziale indennizzo, sul lato nord edifica una terrazza in consonanza con l'edificio. Un altro corpo edilizio, destinato a stalle, di recente costruzione testimonia la continuità funzionale dell'azienda, fino agli anni scorsi.


3 ~ VILLA GRAZIA, contrada Michelica, Modica (18 10)

La villa Grazia sorge nelle vicinanze di Modica, a cinque Km sulla SS 115 per Ispica. E' un elegante edificio nobiliare dì villeggiatura, con ampio ed elegante giardino, stanze per ospiti e per la servitù; magazzini e stalle.

Risale per il primo nucleo, che era una casa colonica, alla fine del XVIII secolo ed era proprietà dei baroni Tornasi Rosso. Questo nucleo fu ingrandito e trasformato in villa intorno al 1810 dal Barone Francesco Ignazio Tomasi Rosso. Divenne poi, tra metà e fine dello stesso secolo, proprietà del figlio Saverio e della di lui moglie Grazia Tedeschi Impellizzeri, dalla quale prese nome.

Agli inizi del novecento la villa fu ereditata dai nipote di costei, Corradino Tedeschi, che aggiunse il monumentale ingresso, riformò in stile liberty il prospetto, fece affrescare nello stesso stile gli interni e impiantò, su progettazione e direzione di un architetto francese, il giardino. Sicché in quegli anni la villa "conobbe il periodo più vivace, essendo uno dei salotti più frequentati di Modica; fu soprannominata la Regina, poiché era la più bella che si potesse trovare in tutta l'area" (18). La villa, come appare oggi, ha un accesso monumentale e si presenta incompleta del lato destro (19), circondata da alte mura che quasi la mimetizzano nel pianeggiante fondo sul quale è ubicata. Il giardino ricco di piante ed elegantemente strutturato è animato da arredi quali colonne, vasi da fiori, scalinate e da un tempietto neo classico.

La divisione interna è razionale: la parte riservata ai padroni di casa si affaccia sul lato esterno, quella della servitù sul cortile interno. Ampi saloni, decorati con pitture, e salottini vari si succedono numerosi nelle due ali destinate ai padroni ai loro ospiti: testimonianze dì una vita sociale agiata e raffinata.


4 ‑ VILLA RIZZA, contrada Fegotto, Chiaramonte Gulfi (1870)

Villa Rizza è l'esempio di azienda agricola sorta, dopo l'unità d'Italia sull'onda del nuovo interesse per l'agricoltura e per il razionale sfruttamento delle sue risorse.

La fattoria edificata intorno al 1830 ad opera di Vito Rizza fu, nel 1870, a cura dei figlio Evangelista, ristrutturata in azienda rurale (20).

Una mappa dell'azienda (1878) ci da il dettaglio della disposizione dei locali e l'ampiezza del complesso (che poi è lo stesso di oggi). Attorno alla grande corte centrale si dispongono i magazzini di granaglie, carretteria, chiesa, abitazioni dei lavoranti, stalle e pagliere, cantina, caldaia e fornace, palmento, bottiglieria, cisterna ed abbeveratoio, trappeto con macina, forno e cucina (per i lavoranti), abitazione della massaia, scuderie, attrezzi da stalla e da basto, latrine, pollaio, porcile" appartamenti padronali (piani superiori) e giardino annesso.
I due accessi, “Est da Chiaramonte”" e “Ovest da Vittoria”, che si collegano con le due principali strade che attraversano il latifondo, appunto quella che porta nella soprastante città di Chiaramonte e l'altra sul fronte opposto che si snoda nella vallata verso le zone marine, si riuniscono al centro del complesso edilizio nella grande corte lastricata con piccole basole di calcare duro.
Attorno a questa "piazza" si svolge la piccola città agricola, con la sua chiesa, le sue monumentali cantine, i vari opifici, le cucine e le stanze per i lavoranti stagionali e per i soprastanti e mezzadri. E persino la scuola (21). Sul lato meglio esposto (di fronte ai due accessi e rivolto a sud) troviamo la dimora dei padrone,  i cui bassi erano destinati alla produzione.
Una scala a forbice conduce al piano superiore il cui portico è abbellito da quattro colonne; la facciata si slancia ancora con un terzo piano che continua il sapiente gioco di pieni e vuoti con lesene che formano archi ciechi.
Il tutto coronato da un piccolo campanile (22).
L’interno è decorato con pitture; i pavimenti sono in ceramica di Caltagirone e mattoni di pietra pece. Le stanze, come avviene comunemente negli edifici di questo periodo, sono disposte in successione.
I resti del giardino rivelano la sua ampiezza e l'originale alternanza di piante decorative e piante da frutto, con spazi dedicati all'orto domestico.
Proprietario della villa, nel suo massimo splendore, fu quel Don Evangelista Rizza, ricco proprietario terriero di origini borghesi, divenuto poi potente deputato ibleo sul finire dell'ottocento. Potentissimo e temuto dagli avversari, seppe coniugare gestione del potere e illuminata imprenditoria (23).


VILLA MOLTISANTI, contrada Palazzello, Ragusa (secolo XIX)

Appartiene alle ville suburbane che sorsero numerose, appena fuori dalla città sul finire dell'ottocento e, specialmente, tra inizio e primo ventennio del nostro secolo; e che oggi inglobate nella espansione della nuova Ragusa, in poche sono sopravissute. Fu edificata sul finire del secolo scorso da maestranze locali su progetto dell'ing. Giovanni Migliorisi "il maggiore rappresentante in loco della Scuola Accademica di Architettura" (24) autore, tra l'altro, a Ibla del Palazzo Arezzo e a Ragusa Superiore del Palazzo Garofalo, del Palazzo Di Natale e del convento di via Mariannina Schininà. Degli edifici citati, specie del Palazzo Di  Natale, la Villa Moltisanti ripete gli elementi stilistici.
L’influsso della nuova architettura, che nell'isola ebbe l'elemento più rappresentativo nell'architetto palermitano G.B. Basile, "qui si sente maggiormente, pur nel frasario classicheggiante" (25).
La facciata più interessante è quella rivolta ad est, movimentata da due terrazze aggettanti. Le decorazioni delle aperture, in pietra tenera locale, sono sobrie ed eleganti nello stesso tempo (e qui è più evidente la lezione del Basile, le cui tematiche sarebbero divenute leggibili nel palazzo Bruno della vicina Ispica).
Oggi della villa restano le sole strutture e i prospetti esterni; la sua robusta fibra evitò la demolizione nel 1943, quando i militari tedeschi che l'avevano usata come sede del loro comando, in ritirata, la minarono con l'intento di distruggerla. Scampata alla guerra sembrava che negli anni '90 dovesse soccombere alle ruspe: le proteste di cittadini e ambientalisti e il vivace dibattito che ha animato intellettuali e responsabili della cosa pubblica, pare aver scongiurato il pericolo.




Sembra chiuso, per molte di queste antiche dimore, il ciclo della vita: giacciono, incuneate tra una estemporanea e turbolenta edilizia moderna, tra esasperate recinzioni e monumentali muraglie di cemento dentro un irrazionale sfruttamento del territorio, non più in armonia col paesaggio circostante. Quel paesaggio umano del quale erano parti integranti, assieme all'uomo che tali spazi abitò e colonizzò.
Spezzate anche le ragnatele di mura a secco e gli altri segni, più o meno grandi, della presenza e del lavoro dell'uomo nel corso dei secoli, prende il sopravvento una deteriore urbanizzazione della campagna ‑ più evidente nelle zone marine e nelle vicinanze di arterie di comunicazione o di contrade munite di servizi ‑ che replica, esasperando le forme più deteriori, le problematiche delle città del nostro tempo.
Ma è proprio cessata, allora, ogni loro funzione; non è più possibile ricondurle al legame con l'uomo e col territorio, che fu ragione del loro nascere ed esistere? Certamente no. E lo dimostrano il recupero di alcune di esse, in funzione agrituristica, di razionalizzazione dell'agricoltura, di riconversione in strutture sociali o culturali, commerciali (26).
L'Ente Provinciale Turismo (oggi A. A. P. I. T.) di Ragusa sul finire degli anni settanta acquistò una masseria in contrada Castiglione, dando il primo intelligente impulso non solo alla tutela, ma indicando una strada di utilizzazione e riconversione di queste strutture legate al mondo del lavoro agricolo (27)

Negli ultimi anni alcune delle più funzionali sono state ristrutturate in fattorie agrituristiche o in ristoranti, altre sono tornate ad essere abitazioni estive per la villeggiatura, magari senza i fasti che accompagnarono il loro periodo iniziale di vita; qualcuna ha conservato il ruolo di status simbol e cerca, oggi, un acquirente che voglia, a suon di milioni, quel ruolo esplicitare (28).
[1996] Tratto da:
 G. Cultrera, Edilizia rurale negli iblei. Le ville,  in AA. VV. La provincia iblea dall’unità al secondo dopoguerra, Ragusa, 1996.

Le note si possono consultare sul volume  sopra citato.