mercoledì 29 maggio 2013

La cucuna del maiale


La cucina del maiale  - Nella provincia di Ragusa abbondano i piatti a base di carne, con prevalenza di quella suina. E forse perché del maiale non si butta niente, come ci ricorda un detto popolare, questo mite animale ha esaltato la ricerca culinaria delle antiche popolazioni iblee.

Tra le città dell’entroterra, è Chiaramonte quella dove si magnifica il porco (la scritta accoglie l’avventore del Ristorante Majore, che l’ha mutuata da un articolo di Leonardo Sciascia); ancor oggi come nel passato più e meno recente.

La predominanza della carne di maiale nella dieta dei chiaramontani storicamente si può far risalire al periodo alto medievale, quando il territorio chiaramontano, per lo più boschivo e demaniale, era estesamente utilizzato per l’allevamento del maiale. L’enorme produzione, e più ancora la lavorazione, presupponevano un notevole quantitativo di prodotto consumato in loco. Ed una conseguente cultura, sedimentatasi nel tempo, relativamente all’impiego nella cucina quotidiana o di lungo periodo (conserve).

La qualità delle carni (una razza autoctona probabile incrocio col cinghiale selvatico presente nei boschi) esaltata dallo stato brado e dalla dieta (ghiande e frutti selvatici) era rinomata in tutto il circondario: tali peculiarità si mantennero nella successiva evoluzione socio-economica, quando la popolazione abbandonata quella primitiva economia di sussistenza incentivò l’agricoltura  e l’allevamento di bovini ed ovini. Infatti nelle fattorie cerialicole o nelle masserie degli allevatori era usuale se non preminente l’allevamento del maiale locale (l’evoluzione di quella razza primitiva, che tra le peculiarità aveva la pregevolezza della carne).

Il maiale era inoltre la base dei tanti piatti della festa; in primis della festa per eccellenza, vale a dire il Carnevale. I maccheroni col sugo di maiale, la salsiccia arrostita o saltata in padella, la costata, ripiena e no, i suppirsati (salami) frittuli (parti grasse fritti in padella) erano piatti tipici del giovedì grasso e del martedì di carnevale.

 

‘A liatìna (gelatina di maiale)  - Uno dei piatti tipici chiaramontani. E’ ottenuta dalle parti meno utilizzabili del maiale. E’ pertanto, all’origine, un piatto popolare.

Fino a qualche anno fa, era approntato dalla persona anziana di casa (nonna, suocera o zia) che nel contempo istruiva le giovani generazioni. Oggi sono meno le persone che conoscono il laborioso percorso di preparazione, ma in compenso è divenuto patrimonio della cucina iblea, presente nelle salumerie specializzate e nei ristoranti più rinomati, fra i quali non si può non citare Majore (via Martiri Ungheresi, 12, Chiaramonte Gulfi) che dal 1896, anno di nascita del ristorante, gli ha riservato un posto d’onore fra gli antipasti. Allora era molto facile reperire nelle masserie e nelle casette di campagna la materia prima, quel tipo di maiale ibleo oggi in via di scomparsa: lo faceva con accurata professionalità personalmente Salvatore Laterra il nonno dell’attuale titolare del ristorante Majore.

 

Costata di Maiale ripiena - La tradizione racconta che nella creazione di questa ricetta  ci sia l’apporto di un Majore, Don Raffaele Laterra, antico avo degli attuali ristoratori, aiuto cuoco della famiglia Montesano. Nel 1748 a Chiaramonte nel palazzo del barone Cultrera di Montesano, in occasione del pranzo ufficiale in onore del Conte Ruffo di Calabria, allora Vicerè di Sicilia, il cuoco francese Monsieur Francois (dai paesani chiamato don Cicciu Monzù) inventò e servì per la prima volta questo piatto, con la collaborazione, ovviamente, di don Raffaele Majore.

mercoledì 22 maggio 2013

Chiaramonte: Villa Fegotto

VILLA  FEGOTTO, contrada Fegotto, Chiaramonte Gulfi (RG)

 

 E’ l'esempio di azienda agricola sorta, dopo l'unità d'Italia, sull'onda del nuovo interesse per l'agricoltura e per il razionale sfruttamento delle sue risorse. La fattoria edificata intorno al 1830 ad opera di Vito Rizza fu, nel 1870, a cura dei figlio Evangelista, ristrutturata in azienda rurale.

In una mappa dell'azienda del 1878 troviamo il dettaglio della disposizione dei locali e l'ampiezza del complesso (che poi è lo stesso di oggi). Attorno alla grande corte centrale si dispongono i magazzini di granaglie, carretteria, chiesa, abitazioni dei lavoranti, stalle e pagliere, cantina, caldaia e fornace, palmento, bottiglieria, cisterna ed abbeveratoio, trappeto con macina, forno e cucina (per i lavoranti), abitazione della massaia, scuderie, attrezzi da stalla e da basto, latrine, pollaio, porcile, appartamenti padronali (piani superiori) e giardino annesso.

I due accessi, Est -  da Chiaramonte  e Ovest - da Vittoria, la collegano alle due principali strade che attraversano il latifondo, appunto quella che porta nella soprastante città di Chiaramonte e l'altra sul fronte opposto che si snoda nella vallata verso le zone marine e si riuniscono al centro del complesso edilizio nella grande corte lastricata con piccole basole di calcare duro.

Attorno a questa "piazza" si svolge la piccola città agricola, con la sua chiesa, le sue monumentali cantine, i vari opifici, le cucine e le stanze per i lavoranti stagionali e per i soprastanti e mezzadri. E persino la scuola. Sul lato meglio esposto (di fronte ai due accessi e rivolto a sud) troviamo la dimora dei padrone,  i cui bassi erano destinati alla produzione. Una scala a forbice conduce al piano superiore il cui portico è abbellito da quattro colonne; la facciata si slancia ancora con un terzo piano che continua il sapiente gioco di pieni e vuoti con lesene che formano archi ciechi. Il tutto coronato da un piccolo campanile.

L’interno è decorato con pitture; i pavimenti sono in ceramica di Caltagirone e mattoni di pietra pece. Le stanze, come avviene comunemente negli edifici di questo periodo, sono disposte in successione.

I resti del giardino rivelano la sua ampiezza e l'originale alternanza di piante decorative e piante da frutto, con spazi dedicati all'orto domestico.

Proprietario della villa, nel suo massimo splendore, fu quel Don Evangelista Rizza, ricco proprietario terriero di origini borghesi, divenuto poi deputato ibleo sul finire dell'ottocento. Potentissimo e temuto dagli avversari, seppe coniugare gestione del potere e illuminata imprenditoria. Nelle terre attorno alla villa tra fine ottocento e primi del novecento fu realizzata un’agricoltura moderna, con produzione vinicola e olearea di buon livello, esportata in Italia ed Europa.

La villa è stata acquistata negli anni ’90 dall’avv. D’Avola, che ne ha curato il restauro con accurata aderenza all’originaria struttura. Elegante set per numerosi film (tra i più importanti: Marianna Ucria e I vicerè, entrambi di Roberto Faenza e un episodio dell’ormai famoso commissario Montalbano) per eventi o serate musicali di alto livello in estate, non è aperta al pubblico.




Testo estratto da:
Giuseppe Cultrera, Edilizia rurale negli Iblei.Le ville,
in "La Provincia iblea dall'unità al secondo dopoguerra", Ragusa, 1996.

VILLA FEGOTTO Itinerari alla scoperta del territorio chiaramontano


VILLA  FEGOTTO
contrada Fegotto, Chiaramonte Gulfi (RG)

 E’ l'esempio di azienda agricola sorta, dopo l'unità d'Italia sull'onda del nuovo interesse per l'agricoltura e per il razionale sfruttamento delle sue risorse. La fattoria edificata intorno al 1830 ad opera di Vito Rizza fu, nel 1870, a cura dei figlio Evangelista, ristrutturata in azienda rurale.

In una mappa dell'azienda del 1878 troviamo il dettaglio della disposizione dei locali e l'ampiezza del complesso (che poi è lo stesso di oggi). Attorno alla grande corte centrale si dispongono i magazzini di granaglie, carretteria, chiesa, abitazioni dei lavoranti, stalle e pagliere, cantina, caldaia e fornace, palmento, bottiglieria, cisterna ed abbeveratoio, trappeto con macina, forno e cucina (per i lavoranti), abitazione della massaia, scuderie, attrezzi da stalla e da basto, latrine, pollaio, porcile, appartamenti padronali (piani superiori) e giardino annesso.

I due accessi, Est -  da Chiaramonte  e Ovest - da Vittoria, la collegano alle due principali strade che attraversano il latifondo, appunto quella che porta nella soprastante città di Chiaramonte e l'altra sul fronte opposto che si snoda nella vallata verso le zone marine e si riuniscono al centro del complesso edilizio nella grande corte lastricata con piccole basole di calcare duro.

Attorno a questa "piazza" si svolge la piccola città agricola, con la sua chiesa, le sue monumentali cantine, i vari opifici, le cucine e le stanze per i lavoranti stagionali e per i soprastanti e mezzadri. E persino la scuola. Sul lato meglio esposto (di fronte ai due accessi e rivolto a sud) troviamo la dimora dei padrone,  i cui bassi erano destinati alla produzione. Una scala a forbice conduce al piano superiore il cui portico è abbellito da quattro colonne; la facciata si slancia ancora con un terzo piano che continua il sapiente gioco di pieni e vuoti con lesene che formano archi ciechi. Il tutto coronato da un piccolo campanile.
L’interno è decorato con pitture; i pavimenti sono in ceramica di Caltagirone e mattoni di pietra pece. Le stanze, come avviene comunemente negli edifici di questo periodo, sono disposte in successione.
I resti del giardino rivelano la sua ampiezza e l'originale alternanza di piante decorative e piante da frutto, con spazi dedicati all'orto domestico.

Proprietario della villa, nel suo massimo splendore, fu quel Don Evangelista Rizza, ricco proprietario terriero di origini borghesi, divenuto poi deputato ibleo sul finire dell'ottocento. Potentissimo e temuto dagli avversari, seppe coniugare gestione del potere e illuminata imprenditoria. Nelle terre attorno alla villa tra fine ottocento e primi del novecento fu realizzata un’agricoltura moderna, con produzione vinicola e olearea di buon livello, esportata in Italia ed Europa.

La villa è stata acquistata negli anni ’90 dall’avv. D’Avola, che ne ha curato il restauro con accurata aderenza all’originaria struttura. Elegante set per numerosi film (tra i più importanti: Marianna Ucria e I vicerè, entrambi di Roberto Faenza e un episodio dell’ormai famoso commissario Montalbano) per eventi o serate musicali di alto livello in estate, non è aperta al pubblico.

Testo estratto da: Giuseppe Cultrera, Edilizia rurale negli Iblei.Le ville, in "La Provincia iblea dall'unità al secondo dopoguerra, Ragusa, 1996.

mercoledì 8 maggio 2013


Una poesia di Alda Merini

 ALDA MERINI, Ti aspetto.

 

Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare.

 
 *
Una poesia della grande Alda Merini
ed una  bella foto dell'amico Salvatore Brancati