La cucina
del maiale - Nella provincia di Ragusa abbondano i piatti a base di
carne, con prevalenza di quella suina. E forse perché del maiale non si butta niente, come ci ricorda un detto popolare,
questo mite animale ha esaltato la ricerca culinaria delle antiche popolazioni
iblee.
Tra le città dell’entroterra, è Chiaramonte quella dove si magnifica il porco (la scritta
accoglie l’avventore del Ristorante Majore, che l’ha mutuata da un articolo di
Leonardo Sciascia); ancor oggi come nel passato più e meno recente.
La predominanza della carne di maiale nella dieta dei chiaramontani storicamente si
può far risalire al periodo alto medievale, quando il territorio chiaramontano,
per lo più boschivo e demaniale, era estesamente utilizzato per l’allevamento
del maiale. L’enorme produzione, e più ancora la lavorazione, presupponevano un
notevole quantitativo di prodotto consumato in loco. Ed una conseguente cultura, sedimentatasi nel tempo,
relativamente all’impiego nella cucina quotidiana o di lungo periodo (conserve).
La qualità delle carni (una razza autoctona probabile
incrocio col cinghiale selvatico presente nei boschi) esaltata dallo stato brado e dalla dieta (ghiande e
frutti selvatici) era rinomata in tutto il circondario: tali peculiarità si
mantennero nella successiva evoluzione socio-economica, quando la popolazione
abbandonata quella primitiva economia di sussistenza incentivò
l’agricoltura e l’allevamento di bovini
ed ovini. Infatti nelle fattorie cerialicole o nelle masserie degli allevatori
era usuale se non preminente l’allevamento del maiale locale (l’evoluzione di
quella razza primitiva, che tra le peculiarità aveva la pregevolezza della
carne).
Il maiale era inoltre la base dei tanti piatti della festa; in primis della festa per eccellenza, vale
a dire il Carnevale. I maccheroni col sugo di maiale, la salsiccia arrostita o
saltata in padella, la costata, ripiena e no, i suppirsati (salami) frittuli
(parti grasse fritti in padella) erano piatti tipici del giovedì grasso e del
martedì di carnevale.
‘A liatìna (gelatina di
maiale) - Uno dei piatti
tipici chiaramontani. E’ ottenuta dalle parti meno utilizzabili del maiale. E’
pertanto, all’origine, un piatto popolare.
Fino a qualche anno fa, era approntato dalla persona anziana
di casa (nonna, suocera o zia) che nel contempo istruiva le giovani generazioni. Oggi sono meno le persone che
conoscono il laborioso percorso di preparazione, ma in compenso è divenuto
patrimonio della cucina iblea, presente nelle salumerie specializzate e nei
ristoranti più rinomati, fra i quali non si può non citare Majore (via Martiri Ungheresi, 12, Chiaramonte Gulfi) che dal 1896,
anno di nascita del ristorante, gli ha riservato un posto d’onore fra gli
antipasti. Allora era molto facile reperire nelle masserie e nelle casette di
campagna la materia prima, quel tipo di maiale ibleo oggi in via di scomparsa:
lo faceva con accurata professionalità personalmente Salvatore Laterra il nonno
dell’attuale titolare del ristorante Majore.
Costata di Maiale ripiena
- La tradizione racconta che nella creazione di questa ricetta ci sia l’apporto di un Majore, Don Raffaele Laterra, antico avo degli attuali ristoratori,
aiuto cuoco della famiglia Montesano. Nel 1748 a Chiaramonte nel
palazzo del barone Cultrera di Montesano, in occasione del pranzo ufficiale in
onore del Conte Ruffo di Calabria, allora Vicerè di Sicilia, il cuoco francese
Monsieur Francois (dai paesani chiamato don
Cicciu Monzù) inventò e servì per la prima volta questo piatto, con la
collaborazione, ovviamente, di don Raffaele Majore.
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