giovedì 3 settembre 2015

Chiaramonte Gulfi 10.ma passeggiata. La neviera sconosciuta.

 Anche questo  è un itinerario curioso della passeggiata di domani venerdì 4 settembre



Nevaio o magazzino? *


Come ghiacciaia oppure conserva di neve è indicato, in un carteggio dell’Amministrazione del Demanio e delle tasse 1879-87, un edificio al limitare nord del paese (oggi ultimo tratto della via Guastella), in parte scavato nella roccia in parte costruito in muratura. La denominazione di neviera è invece riportata nell'antico catasto dei fabbricati. Appartenne nell'ultima sua fase a Mastro Salvatore Marletta, carrettiere e trasportatore della neve.
A mio parere più che nevaio, per lo stipaggio e conservazione del prodotto fino al periodo estivo, era un deposito temporaneo dei blocchi già estratti dalle neviere, in attesa della distribuzione e dell’utilizzo, nello stesso paese o in qualche località vicina.
L'ampia porta d'accesso suffraga ancor più la tesi su esposta che, più che ambiente di raccolta e conservazione della neve ghiacciata, sia stato un deposito, temporaneamente utilizzato, da cui attingere il prezioso ghiaccio necessario al paese per usi medici, culinari e di conservazione di prodotti deperibili.

Fu proprietà, fino al 1879 della chiesa del Salvatore, che la concesse in locazione a vari imprenditori tra cui «Scollo Vito di Carmelo di Chiaramonte» per «annue lire 20 e centesimi 30 per la durata di anni tre a semestre anticipato a partire dal 1 ottobre 1876 al 20 settembre 1879, giusto il contratto 8 giugno 1877»; successivamente pervenne al sig. Cosenza Benedetto, che l’11 dicembre 1886 l’ufficio del Registro di Chiaramonte certifica essere ultimo e legittimo proprietario «della ghiacciaia sita in Chiaramonte, proveniente dalla Chiesa del SS.mo Salvatore» dettagliatamente descritta nell’allegato estratto dai registri catastali: «Conserva di neve in contrada Dimanio e Santa Maria di Gesù tenere di Chiaramonte … Il detto immobile confina a sud col piano del Carmine e la detta Chiesa, da est ad ovest con terreno Comunale e da nord con la strada rotabile da Chiaramonte a Ragusa». [Archivio di Stato. Fondo Culto SR; vol.B n.9, Fasc. 38. Devo la copia, alla cortesia di P. Salvatore Azzara.]

*  Magazzino / neviera, Chiaramonte Gulfi. quartiere S. Maria di Gesù; quota m. 670. Nell’antico catasto dei fabbricati di Chiaramonte è indicata con la denominazione di «nivera» ed ubicata all’inizio della via Riformati (oggi via S. A. Guastella).


Chiaramonte Gulfi 10.ma Passeggiata sotto le stelle: Notizie, schede e anteprima...

Il convento e la chiesa di S. Maria di Gesù


Il sito

Il complesso edilizio del Convento e della Chiesa di S. Maria di Gesù occupa il lembo estremo dell’abitato di Chiaramonte Gulfi, nella parte più alta del colle, proprio accanto all’antico nucleo medievale. L’espansione urbana, coeva e successiva alla costruzione del Convento, ha solo sfiorato, da nord est, il complesso monastico lasciando aperto lo spazio a sud ovest nella cui parte alta, nel 1834, fu ubicato il cimitero. Due antiche strade lambivano il fabbricato: a destra (quella che conduceva alla zona montana ed a Ragusa) e a sinistra (quella che metteva in comunicazione la chiesa delle Grazie e la sorgente delle pozzie con il centro urbano).


Il complesso monastico

La Chiesa ed il Convento di S. Maria di Gesù rappresentano una delle principali emergenze architettoniche di Chiaramonte Gulfi.
La Chiesa prospetta sul cosiddetto piano di Gèsu, delimitato da due ali di fabbricati civili ed introdotto da una croce di ferro con base e colonna in pietra, contrassegnata dal simbolo francescano.
Alla sua destra si appoggiano i tre corpi del fabbricato del Convento, al cui centro si apre l’elegante Chiostro con pozzo-cisterna. La silva (che oggi risulta notevolmente ridimensionata, essendo parte nel secolo XIX assorbita dal cimitero e parte successivamente rimaneggiata o trasformata), si estende ad occidente con eleganti viali e tracce d’arredo ed ornamenti.
Il Convento, che si sviluppa su due piani, ha tre corridoi intorno all’antico chiostro più un’ala che si allunga sul lato meridionale.
I locali del piano terreno sono adibiti ad attività di impegno cristiano e socio culturali mentre i religiosi occupano parte del piano superiore, oggetto di interventi di ristrutturazione recente, con la quale è stata recuperata la parte che versava in precarie condizioni.


Il convento dei Frati Minori Riformati

Fin dal secolo XVI alcuni Frati Minori erano presenti in Chiaramonte, ed alloggiavano nel piccolo convento adiacente alla chiesa di S. Giovanni Battista1.
Nel secondo decennio del XVII secolo fu avviata la costruzione, «nella parte più elevata dell’abitato al termine del sestriere della Cuba»2, di una piccola chiesa e di un convento per ospitare quella comunità di Frati Minori, che era stata invitata dalla “Università” e da alcune famiglie nobili.
La fondazione del Convento è attestata da fonti documentarie contemporanee o di poco posteriori.

La prima fonte è l’opera del P. Pietro Tognoletto, Paradiso serafico,(due voll. Palermo 1657, 1687)3, che desume da atti interni dell’ordine, gli avvenimenti relativi ai frati minori dal 1615 al 1651. E’ certamente la fonte più informata, sia per l’utilizzo di testimoni oculari e documenti coevi, che per l’autorevolezza e la competenza del compilatore. Da essa apprendiamo che «nel capitolo celebrato in Palermo nel 1620 […]  si determinò la fondazione del convento nella città di S. Filippo, e un altro in quella di Chiaramonte»4.
E poco oltre lo storico francescano, con maggiori dati, ribadisce: «In quest’anno (1620) fu fondato ancora dallo stesso P. Custode il P. F. Egidio, un altro Convento sotto titolo di S. Maria di Gesù nella terra di Chiaramonte, diocesi di Siracusa»5
La seconda fonte, all’interno della stessa opera, è la «notazione» in un antico manoscritto della Provincia monastica di Siracusa, che conferma l’avvenimento, ma con un’indicazione cronologica diversa (certamente più attendibile), del 6 agosto 16196
 La terza fonte è la relazione «Sullo stato dei Regolari» relativa a questo Convento (Archivio Segreto Vaticano, vol. 24), nella quale si indica come data di fondazione il 31 agosto 1620, ad opera dei Giurati che concessero il terreno per fabbricare il convento, due cantara di carne e due barili di tonnina l’anno, medici e medicine gratis, 100 scudi della gabella delli Demanij e 85 l’anno per la fabbrica del convento7.
Lo storico locale Corrado Melfi pone l’inizio dei lavori, per la costruzione di chiesa e convento, il 6 agosto 1619 (concordando con la cronaca della Provincia Monastica di Siracusa) e la conclusione nell’anno successivo, quando «i frati in numero di 15 passarono ad abitarlo»8.
Il Convento fu ingrandito e portato a temine nel 1637, data ricordata in una delle colonne del chiostro: per la sua ampiezza è il primo tra i Conventi del Comune di Chiaramonte Gulfi.
Nel 1650, constava di 15 celle ed era abitato da 14 individui di cui  5 sacerdoti, 3 chierici, 5 laici e un terziario9.
I lavori definitivi di ampliamento del Convento e della Chiesa (quella primitiva era molto più piccola), avvengono tra il 1655 e il 1657 (questa data è visibile tutt’oggi in un pilastro delle colonne dell’atrio).
Un successivo intervento è databile ai primi anni del XVIII secolo, a seguito del disastroso terremoto del 1693. Tracce evidenti sono nelle strutture, oggetto di consolidamento con ripristino o modifica di parti.
Nel 1788 nel Convento si celebrò il Capitolo Provinciale, come si legge nell’architrave della porta d’ingresso: «Die 17 Junii 1788, in hoc venerabili conventu S. M. Jesu, tempore gubernationis R. P. Josephi M. Comisi Casmenarum O. Ref. S. Francisci celebratum fuit capitulum provinciale».
Nel 1866 il Convento fu chiuso per la legge di soppressione; fu riaperto nel 1890 ad opera del chiaramontano P. Filippo Sansone.
Nel secolo XX vengono operati interventi di modesta entità10. I principali:
– l’11 luglio 1918, P. Daniele Cultrera affida al Sig. Gianninoto Salvatore i lavori di ricostruzione dell’arcata Sud del Chiostro e di intonacatura di tutto l’interno del Chiostro del Convento; 
– nel 1930 viene effettuato il restauro della grande vasca dell’orto, detta il “Gebbione” ed il completamento del muro dell’orto, incrementato nella parte superiore;
– nel 1931 furono sistemati i muri dell’orto e quello attiguo alla carretteria ed iniziati i lavori di restauro della copertura del Convento e della Chiesa;
–altri lavori di risistemazione nel 1932, fra i quali il restauro di diverse stanze del Convento e degli infissi, l’inserimento di tre finestre nuove nelle stanze a mezzo piano.

Ma il lento degrado rese, dal dopoguerra, inutilizzabile gran parte della struttura: negli anni ’80, dopo un sommario restauro, erano fruibili nove camere per abitazione, una sala adibita a biblioteca ed una sala d’attesa. Nell’ala nord l’antico noviziato restò abbandonato ed in precarie condizioni.
Gli interventi di consolidamento della struttura e di restauro, condotti dal 2002 al 2004, hanno riconsegnato l’antica struttura alla completa fruibilità.


La chiesa

La chiesetta di modeste dimensioni intitolata a S. Maria dell’Itra12 venne ampliata ed abbellita da due cappelle laterali (a sinistra) a partire dal 1655.
Nel 1663 fu edificata, a spese della famiglia Cutello, l’elegante cappella dove venne posta la statua in marmo della Madonna con il Bambino, proveniente dalla chiesa di S. Sofia, chiusa al culto. Fu allora che la chiesa prese il nome di S. Maria di Gesù.
L’altra cappella, opera dello scultore Simone Mellini, più antica (sec. XVII) conteneva il crocifisso in legno, a grandezza naturale, opera dello scultore francescano Fra Umile da Petralia. In essa è d’interesse artistico il paliotto d’altare, opera datata (1711) e firmata dallo scultore chiaramontano Benedetto Cultraro.
Sul finire del secolo XVVIII  fu elegantemente decorata con stucchi la cappella centrale da Giovanni Gianforma (indicazione degli storici locali) o da artisti della sua bottega.
Tra fine ottocento ed inizio novecento vengono realizzati i tre grandi dipinti nella volta centrale, dal pittore chiaramontano Nicolò Distefano.
Oltre al pregevole crocifisso ligneo di Fra Umile da Petralia, la chiesa contiene altre pregevoli opere:
il dipinto della Pietà, ritenuto di Mattia Preti, ma sicuramente opera di scuola tardo caravaggesca, con riferimento stilistico ed iconografico al Preti;
il dipinto S. Anna, attribuito ad un Su Matteo, artista chiaramontano di fine XVII secolo;
il dipinto raffigurante S. Francesco d’Assisi, firmato e datato Antonino Minoli, 1723.

Per una analisi  specifica di alcune delle opere esistenti nella chiesa si rimanda alle schede di seguito dettagliate.



Schede di alcune opere d’arte presenti nella chiesa

1 - CAPPELLA CENTRALE  (abside)

ATTRIBUZIONE: Bottega dei Gianforma
EPOCA: sec. XVIII
MATERIALE E TECNICA: Stucchi bianchi e colorati
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Buono. Si notano delle ridipinture. In corso restauri.
DESCRIZIONE: Quattro colonnine tortili, per un terzo decorate a rilievi con putti, rami, foglie, fiori e altri motivi ornamentali, con capitelli corinzi, s’innalzano su un bastimento, alto circa m 1,90, che sembra aver sostituito i piedistalli originali. Lungo le spirali corre pure una decorazione di rami, foglie, rose, putti, tralci, grappoli e pampini. Due semicolonne scanalate fiancheggiano le colonnine tortili. Su queste poggia una trabeazione fortemente aggettata. Fra le due colonnine è una cartella barocca sostenuta da una figura mitologica. Dai tratti di trabeazione, fino al centro dell’arco scemo, si stende, in stucchi, un ricco drappeggio con al centro una cartella con lo stemma dell’Ordine, sostenuto da due angeli. Movimento di putti, di diversa grandezza che si affannano a sostenere il drappeggio.



2 - CROCIFISSO

AUTORE: Gianfrancesco Pintorno ( Fra Umile da Petralia) (Petralia Soprana 1600 – Palermo 1639)
EPOCA: primo quarto del sec. XVII
MATERIALE E TECNICA: legno intagliato e colorato,
MISURE: cm 182 ca

Il Crocifisso di Chiaramonte Gulfi  (*)  è tra i più bei Crocifissi di Frate Umile, in esso è possibile constatare tutte le varie caratteristiche tipiche della sua arte: dal movimento sinuoso del corpo all’inconfondibile forma del perizoma; dalla spina, della folta corona, conficcata nel sopracciglio sinistro all’abbondante sangue proveniente dalla ferita del costato; dai segni evidenti ai polsi e alle caviglie provocati dalle funi alle varie tumefazioni e segni delle percosse in tutto il corpo. Ed ancora altri particolari come la spina conficcata nell’orecchio sinistro, la ferita nelle spalle, la lingua che s’intravede dalla bocca semiaperta in cui sembra cogliere l’ultimo respiro, il braccio sinistro rigonfio (particolare quest’ultimo che si ripete soprattutto nel soggetto dell’Ecce Homo). Particolarmente curato è il volto, dall’espressione altamente drammatica, dove ogni particolare è trattato con grande maestria e verismo. Per il fatto che nel tempo quest’opera non ha subito determinati manomissioni (qualche ritocco sparso particolarmente evidente nella coscia sinistra e nel volto), è possibile studiare, in essa, come l’artista realizzava pittoricamente le ferite e la conseguente distribuzione del sangue nell’intero corpo del Cristo. Anche se ingiallite dall’ossidazione delle vecchie vernici, le tonalità dell’incarnato sono, come del resto in tutti Crocifissi di Frate Umile, assai delicate e chiare, come esigeva il gusto dell’epoca. Spesso si fa molta confusione nel vedere un’opera scultorea dalle tonalità scure, dovute quasi sempre all’annerimento causato dal fumo delle numerose candele votive, alla ossidazione delle vecchie resine, olii, ecc. 
Da questo causale fenomeno di degrado, non di rado sono stati attribuiti gratuitamente appellativi assai suggestivi legati soprattutto al soggetto del Crocifisso denominandolo più volte «nero». Una patina acquisita dunque, che il più delle volte nasconde le vere ed originali cromie dell’opera d’arte.
Il Crocifisso di Chiaramonte Gulfi, è uno dei pochi, fra quelli ancora esistenti, che possiede la componente dell’Angelo che regge il cartiglio con la scritta I.N.R.I., in cima alla Croce. L’Angioletto, anch’esso scolpito in legno con estrema raffinatezza, dall’espressione triste, quasi piangente, venne realizzato sicuramente dallo stesso Pintorno; fra quelli ancora esistenti questo di Chiaramonte Gulfi è davvero splendido e ispira tanta tenerezza e commozione a chi lo guarda.
(*) R. La Mattina, F. Dell’Utri, Frate Umile da Petraia: l’arte e il misticismo, Caltanissetta, 1986; pag. 76



3 – CAPPELLA
( 1°Cappella laterale di sinistra)

EPOCA: sec. XVII
MATERIALE E TECNICA: intarsio di pietra bianca su nero pece
DESCRIZIONE: Due colonnine scanalate, per un terzo decorate con teste di cherubini e motivi floreali, sorreggenti una trabeazione con frontone ad arco spezzato, delimitano l’edicola dell’altare. Le candelabre, la parte interna della nicchia semicilindrica terminante nella parte superiore con la caratteristica conchiglia, il basamento su cui poggiano le colonne e le quattro lesene agli angoli della cappella, presentano una ricca decorazione ad intarsio dove dominano i motivi floreali intrecciati con teste di puttini.


4 -  S. MARIA DI GESU’
(1°Cappella laterale di sinistra - Altare)

ATTRIBUZIONE: Al Mancino e al Berretaro, dal Di Marzo (ma sicuramente di tarda scuola gaginiana)
EPOCA: sec. XVII
MISURE: h. cm 170 ca
MATERIALE E TECNICA: marmo bianco
STATO DI CONSERVAZIONE: Buono
DESCRIZIONE: La Madonna tiene sul braccio sinistro il Bambino, che regge fra le mani il mondo, e con la destra tiene stretta una gambetta del piccolo Gesù. Viso ovale, capelli biondi, ricciuti e corti, come pure quelli del Bambino. Un ampio manto scende dalla spalla sinistra, e si raccoglie sul davanti lasciando libera la spalla destra. Dalla parte interna si notano ancora delle ridipinture in verde scuro. La veste è decorata a fiori dorati, il manto a grosse stelle.


5 - S. ANTONIO DI PADOVA
(1° cappella laterale di sinistra- partete sx)

EPOCA sec. XVIII
MISURE: : cm. 200  c. x 125
MATERIALE E TECNICA: Olio su tela
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Quasi buono – un po’ essiccata la superficie pittorica con screpolatura e caduta di pittura ai bordi.
DESCRIZIONE:. L’impostazione iconografica riporta un episodio mistico della vita del Santo: un’estasi. Il Santo è raffigurato con il Bambino tra le braccia, su un bianco lino; in alto Angeli, sospesi sulle nubi, in basso a sinistra un putto.

 
6 - S. ANNA
(1°Cappella laterale di sinistra - parete destra)

ATTRIBUZIONE: A un Su Carmelo (= Signor Carmelo), dal Melfi
EPOCA: sec. XVIII
MISURE: cm 180 ca x100
MATERIALE E TECNICA: olio su tela
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: quasi buono. Un po’ essiccata la superficie pittorica con screpolature e scrostature in basso. Restauro, non eccellente, nel 1980.
DESCRIZIONE: Nell’impostazione una scena familiare: la Madre ( S. Anna ) lascia da parte il lavoro per insegnare a leggere alla figlia ( Maria ); il padre ( S. Gioacchino ) assiste, in piedi dietro la Fanciulla. Sfondo architettonico monumentale- L’opera segue un po’ le composizioni di tipo fiammingo.


7 - Cappella  (del Crocifisso)

(2° cappella laterale di sinistra)

AUTORE: Simone Mellini (fine secolo XVI - post 1650).
EPOCA: seconda metà del sec. XVII
MATERIALE E TECNICA: pietra tenera intagliata e decorata.
DESCRIZIONE:


8 - PALIOTTO D’ALTARE
(2° cappella laterale di sinistra - altare)

AUTORE: Benedetto Cultraro (1670 – 1752)
EPOCA: 1711
MISURE: cm 200 x 100
ISCRIZIONE E DATAZIONE: “IO BENEDETTO CULTRARO DI CHIA/te L’HO SCOLPITO 1711
MATERIALE E TECNICA: scultura su pietra dura
STATO DI CONSERVAZIONE: buono
DESCRIZIONE: Da quattro personaggi che formano da lesene, è diviso in tre quadri. I due laterali sono decorati con rami, foglie e altri motivi ornamentali; in quello centrale vi sono: due colombe che attingono alla bocca di una testa che sta al centro, attorno foglie di acanto variamente disposte e altri motivi ornamentali. I motivi di rami, foglie di acanto e teste si ripetono ancora nei fregi del cornicione e delle mensole.


9 - IL CRISTO DEPOSTO DALLA CROCE
(2° cappella laterale di sinistra - altare)

PROVENIENZA: Dalla Chiesa dei Cappuccini
ATTRIBUZIONE: A Mattia Preti, dal Melfi, dal Nicosia e dal Distefano
EPOCA: sec. XVII
MISURE: cm 400 c. x 300
MATERIALE E TECNICA: Olio su tela
DATI DOCUMENTARI: Inventario delle Opere d’arte presenti al momento della soppressione nel Convento dei Cappuccini - « N.1 Quadro su tela….rappresentante l’Addolorata col….attribuito a Mattia Preti» ( Archivio C.N.)
STATO DI CONSERVAZIONE RESTAURI: restaurato negli anni ’80 ; intervento non eccellente.
DESCRIZIONE: Scena dolorosissima e umana: Su uno sfondo campito in bruno, al centro: la Madonna seduta ai piedi della croce con, sulle ginocchia, il Corpo del Cristo Morto; ai due lati S. Giovanni e la Maddalena; in basso: un putto che accarezza i piedi del Cristo. (il gruppo centrale è stato riprodotto da Simone Ventura)


10 - LA PORZIUNCOLA
(2° cappella laterale di sinistra – pareta sinistra)

AUTORE: Antonino Manoli (seconda metà del secolo XVII – prima metà del secolo XVIII)
ISCRIZIONE E DATAZIONE : (firmato e datato) Antonino Manoli ping.at  1723
MISURE: cm. 230 x 145
MATERIALE E TECNICA: olio su tela
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Buono
DESCRIZIONE: Nell’impostazione iconografica dell’opera è espresso un concetto etico-religioso: un’estasi in cui il Santo riceve il privilegio della Porziuncola. In alto sospesi su nuvole, il Cristo e le Madonna, in basso, simmetricamente divisi, sei figure di religiosi.


11. VOLTA, Tempere

AUTORE: Nicolò Distefano (1842 – 1919)
ISCRIZIONE E DATAZIONE :
MATERIALE E TECNICA: tempera
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Buono
DESCRIZIONE: Nella volta, in tre riquadri rettangolari due episodi della vita di S. Francesco d’Assisi e l’Immacolata (al centro).


10 -  S. FRANCESCO  D’ASSISI  (convento attiguo)

ATTRIBUZIONE:  Simone Ventura (Chiaramonte 1700 – post 1760), dal Melfi e dal Nicosia, G. Cultrera (Simone Ventura, 2004)
ISCRIZIONE E DATAZIONE:  in alto «tres ordines hic ordinata» in basso «fundatori suo ordo min: erexit anno iubilaei mdccxxv» «vere effigies statuae marmoreae / s.p. francisci seraphici / romae in sacrosanta basilica vaticana / ea habitus forma qua semper et a suae institutionis / primordio usa fuit francescana religio / auct.ssmi dni n.° benedicti papae xiii erectae. et e cospectu s. patriarchae dominici colocatae»
MATERIALE E TECNICA: Olio su tela
MISURE: Cm 150 x 250
DESCRIZIONE: Riproduce la statua, all’interno della nicchia, eretta nella basilica di S. Pietro in Vaticano in occasione del giubileo indetto da Papa Benedetto XIII nel 1725. Tutti i memorialisti locali (Nicosia, Melfi, Puccio) pongono la data del 1725 come quella in cui fu realizzata la tela che sarebbe, pertanto, la prima opera nota del giovane pittore. Ma, nessuna indicazione documentale, dà certezza dell’assunto. Anche se è probabile che i frati minori abbiano commissionato l’opera lo stesso anno in cui fu realizzata la statua del loro fondatore, che il Ventura avrà desunto da una stampa.
All’iconografia desunta, come detto, da una stampa del tempo, il Ventura ha aggiunto due medaglioni laterali con episodi della vita del santo: le stimmate e la visione durante la quale ricevette il privilegio della Porziuncola.
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Buono.
BIBLIOGRAFIA Doc.: Elencata al n. 5 dell’Inventario delle opere d’arte presenti, al momento della soppressione, nel convento di S. Maria di Gesù.


9 - PARAVENTO (convento attiguo)

AUTORE: PROVENIENZA:dalla chiesa di S. Caterina
ISCRIZIONE E DATAZIONE : 1820  (la data si riferisce forse a qualche restauro oppure alla sola pittura del quadro centrale)
MISURE: cm. 300 x 220; il solo dipinto cm. 120 x 70
MATERIALE E TECNICA: legno intagliato e dipinto
DESCRIZIONE: Presenta la struttura di una facciata architettonica; uno zoccolo su cui s’innalzano sei piedistalli con lesene scanalate; al di sopra una trabeazione con doppio ordine di cornice terminante con timpano a triangolo. Pendenti di foglie tra una lesena e un’altra e nei piedistalli; palmette nello spazio tra un cornicione e l’altro; al centro in basso una testa di Cherubino e foglie stilizzate- Nella parte centrale, sotto un arco a piattabanda, dipinta la scena di Gesù che scaccia i profanatori dal Tempio.


12 - S. BENEDETTO IL MORO  (Convento attiguo)

EPOCA: sec. XVII
MISURE:  cm. 200 x 1308
MATERIALE E TECNICA: olio su tela
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Quasi buono – un po’ essiccata la superficie pittorica con screpolature la tela è ritoccata con rattoppi.
DESCRIZIONE:. Composizione mistica: una visione. In alto la Vergine col Bambino, seduta in trono fra nuvole, con un libro aperto in mano. Ai piedi di Lei il Santo inginocchiato, con le braccia aperte e lo sguardo rivolto verso l’alto. In basso un putto con un giglio e un libro.
Sfondo campestre: scogli, mare e cielo.

Note e referenze bibliografiche
1) P. S. Nicosia, Notizie storiche su Chiaramonte Gulfi, Ragusa 1882; pagina 143. La fonte dello storico chiaramontano è R. Pirro, Sicilia sacra, Palermo 1644, notizia sulla chiesa siracusana f. 259, ed il Tognoletto, in seguito ampiamente citato.
2) C. Melfi, Chiaramonte divota, Ragusa 1909, pagina 109.
3) P. Tognoletto, Paradiso serafico del fertilissimo regno di Sicilia, volume I Palermo 1657; volume II Palermo 1687; vd. alle pagine 139, 140, 141 del vol. II.
4) Ivi pagina 139

5) Ivi pagina 140.
Stesse notizie e dati troviamo nelle opere degli storici più antichi (R. Pirro, Sicilia sacra, Palermo, 1644; V. Amico, Lexicon topographicum siculum, Palermo, 1757); che, evidentemente, desumono dalle stesse fonti.
6) Ecco la «notazione»: Conventus Sanctae Mariae de Iesu Clarimontis Terrae Illustris s. Domini Admirantis Castiliae, et Comitis Motucae, fundatus fuit a Spectabilibus Iuratis, et Universitate, die 6 Augusti 1619 Inditionis secundae tempore Custodiatus P. F. Egidy à Ianua in Diocesi Siracusarum, existente Vicario Generali R. D. Martino Celestre, situs supra Montem ad Meridiem.
7) «Sullo stato dei Regolari»   (Archivio Segreto Vaticano, vol. 24) riportato in S. Cucinotta, Popolo e clero in Sicilia nella dialettica socio-religiosa fra cinque-seicento, Messina, 1986; pag.462.
8) C. Melfi, Chiaramonte divota, Ragusa 1909, pagina 109
9) «Sullo stato dei Regolari», op. cit., pag. 462.
10) Le notizie ed i dati sono tratti da “giuliane” e “cronache” manoscritte in possesso dello stesso convento di S. Maria di Gesù di Chiaramonte.
11) «Sullo stato dei Regolari», cit.


Estratto da:  Giuseppe Cultrera, Artisti & Artigiani, Chiaramonte Gulfi, Grafiche Castello, 2003. Pagg. 43/49.

mercoledì 2 settembre 2015

Passeggiata sotto le stelle, Chiaranonte Gulfi, 28 agosto 2015

IMMAGINI della 9^ passeggiata sotto le stelle: La guerra di Vincenzo 
 
Nel Vicolo Vincenzo Rabito: lapide commemorativa 


giovedì 23 luglio 2015

La chiesa di S. Giuseppe di Chiaramonte Gulfi


La Chiesa di S. Giuseppe di Chiaramonte Gulfi sorge nel centro storico, a poca distanza  dalla piazza Duomo. Il prospetto, volto a sud, si eleva su una breve gradinata.
L’interno, ad unica navata, è scandito da lesene, lievemente sporgenti, che evidenziano la sequenza delle cappelle laterali interrotte, al centro di ogni lato, da due eleganti aperture. Il decoro e gli stucchi divengono esuberanti nell’abside semicircolare dove le colonne corinzie percorrono maestose il perimetro in un gioco di pieni e vuoti – accentuato dalle quattro nicchie contenenti le statue di S. Anna, S. Elisabetta, S. Gioacchino e S. Zaccaria – che esaltano la cappella centrale (contenente nel passato, pala e statua del titolare) al cui culmine (catino absidale) erompe il gruppo scultoreo, in stucco, della Assunzione di Maria.
La facciata, sebbene modestamente semplice, acquista maestosità per la posizione angusta che la fa emergere sugli edifici circostanti, ed eleganza per lo snello portale sovrastato dal finestrone centrale (oggi murato) che accentua lo slancio verso l’alto, alleggerendone la mole.
L’originario aspetto del prospetto è, oggi, distorto per la mancanza di elementi scomparsi o modificati nel corso degli ultimi 150 anni; principalmente due: il campanile laterale e il Collegio delle vergini, edificati intorno al 1755.
Il collegio, fatiscente, fu demolito intorno al 1980 e al suo posto costruito un moderno edificio pubblico, destinato a servizi sociali ed uffici AUSL. Il campanile, che nell’unica documentazione iconografica giunta a noi è rappresentato più alto del prospetto, dovette essere demolito intorno al 1850, e sostituito con quello attuale, la cui tipologia è rintracciabile in diversi interventi coevi.
Dal XVII secolo vi si riunivano il consiglio civico per le deliberazioni e le corporazioni e maestranze per l’elezione dei «consoli» da parte dell’assemblea generale.

La fondazione - Intorno al 1623 fu edificata, nell’attuale sito, una piccola chiesa dedicata al patriarca S. Giuseppe1, che fu portata a termine in breve tempo2.
Tra le maestranze che la edificarono fu determinante l’apporto di uno scultore chiaramontano, che i memorialisti locali identificano col nome di Simone Mellini, un tardo gaginiano, al quale venivano attribuite la monumentale struttura dell’abside e le sculture della cappella centrale3.
Una testimonianza di questa prima chiesa, in parte poi crollata col sisma del 1693, è il portale laterale, ancora ben conservato, ascrivibile al citato Mellini.
 Simone Mellini operante a Chiaramonte dagli inizi del ‘600 è ritenuto dagli scrittori locali, specie dal Melfi che purtroppo non dichiara le fonti storiche o documentarie da cui trae notizia, l’artefice di gran parte delle strutture architettoniche o plastiche tardo rinascimentali, alcune giunte sino a noi.
Per citarne alcune, in ordine cronologico, le statue di S. Vito e S. Francesco di Paola del prospetto della Chiesa Madre e quelle non più esistenti di S. Pietro e S. Paolo che ornavano il recinto antistante, scomparso con le riforme settecentesche e successive della piazza, ed una cappella interna non più esistente; la cappella maggiore della chiesa delle Grazie (chiesa edificata a partire dal 1616) e quella somigliante del Crocifisso nella chiesa di S. Maria di Gesù.
Come fosse questo primitivo edificio sacro possiamo desumerlo dai resti e dalle testimonianze storiche: ad unica navata, abside coincidente con l’attuale, più corto di circa un terzo.
L’ultimo dato e facilmente riscontrabile, nell’ubicazione dell’antica porta, oggi murata all’esterno e riutilizzata all’interno come nicchia.  Sulla valenza di questa apertura, quale porta principale (il Nicosia, storico locale accorto e ben documentato, dà questa indicazione), o laterale e quindi secondaria, come appare più logico, non si hanno riscontri. Non conoscendosi la sistemazione topografica ed urbanistica del quartiere (denominato allora, S. Francesco).

La ricostruzione- La chiesa fu ristrutturata ed ingrandita, a seguito del citato sisma, nei primi anni del XVIII secolo.
Nella seconda metà del secolo la chiesa viene decorata con stucchi ed adornata di pitture e sculture. Ad un Gianforma, verosimilmente Giovanni, sono attribuiti gli stucchi (notevole il gruppo dell’Assunzione di Maria, nel catino absidale).
Tra il 1737 (statua lignea del titolare) ed il 1775 (S. Ignazio di Loyola, dipinto del netino Costantino Carasi) si completa l’arredo d’altari e cappelle4.

La «nuova chiesa» - Dal 1751 al 1860 la storia degli interventi è documentata nei “registri di introito ed esito” della chiesa. Ed è interessante perché evidenzia una serie di problemi di staticità dell’edificio riconducibili, non soltanto a deficienze costruttive ma ancor più ad una instabilità del suolo rilevata anche da un  recente studio geologico propedeutico ai lavori di restauro del 2000.
Una costante dell’architettura religiosa iblea è il lento protrarsi, per quasi tutto il secolo successivo al sisma, dei lavori di ricostruzione o ristrutturazione degli edifici sacri. Nel caso della chiesa di S. Giuseppe a quest’aspetto usuale si aggiunge un continuo consolidamento dell’edificio, determinato dalle cause endemiche e strutturali, cui si è accennato sopra.
L’abside con la cappella maggiore è quella che richiederà maggiori interventi, assieme alla volta ed al lato occidentale.
Il Melfi ritiene che la monumentale struttura dell’altare del titolare, opera del mastro scalpellino Simone Mellini, risalente alla fase iniziale della costruzione della chiesa (sec. XVII) sia sopravvissuta al terremoto. E in parte c’era del vero nella testimonianza che mutuava da documentazione e memoria popolare. Soltanto che non è giunta fino a noi. Quella attuale, che riecheggia moduli e stilemi del maestro tardo gaginiano, è frutto di intervento ricostruttivo della metà settecento. Ne abbiamo documentazione in un mandato di pagamento (1 novembre 1752), di 5 onze, a mastro Giuseppe Sciacco «per compra di pietre per il nuovo cappellone».
Il capomastro Giuseppe Sciacco apparteneva ad una famiglia di murifabbri, operanti a Chiaramonte dalla ricostruzione post terremoto e fino alla metà del secolo da poco trascorso. Nel decennio precedente, difatti, aveva lavorato all’edificazione del campanile della Chiesa di S. Maria La Vetere (meglio nota, oggi, come Santuario di Gulfi)5.
Pur mancando le indicazioni delle maestranze per tutto il decennio successivo si ha documentazione di lavori vari: «restaurare il tetto della chiesa», «fare il pavimento del nuovo Cappellone». Anzi Dal 1766 si parla esplicitamente di «fabrica della nuova chiesa». Le somme erogate, sono considerevoli, specie se si tiene conto che una parte delle spese - le offerte spontanee di notabili o devoti - non venivano rendicontate.
Nei lavori appare un altro capomastro, il ragusano Giorgio Pulichino, per il quale il 5 maggio 1769  il notaio Matteo Ventura Sanctis rilascia àpoca (quietanza di pagamento) per onze 12 «a buon conto delli pezzi fatti e trasportati pella nuova fabbrica».
Interessante un mandato di pagamento del 1774 nel quale come caparra vengono liquidate 4 onze a M. Carmelo Spagna e non meglio precisato «compagno di Siracusa» per arredi tra cui «cornici delli quadri»; cornici che dovettero servire, con probante sicurezza, per i 4 quadri delle cappelle laterali (S. Ignazio di Loyola, S. Eligio, S. Francesco di Paola, Madonna delle Grazie) per i quali i due storici locali Nicosia e Melfi ipotizzavano le date di esecuzione attorno al 1775.


Interventi di consolidamento e restauro nel secolo XIX - Col nuovo secolo iniziano una serie ininterrotta d’interventi, a volte replicati, che interessano spesso la staticità dell’edificio piuttosto che l’ornamento.
Nel 1835 viene ricostruita la volta. Dalle note di pagamento non si evince se a causa di un cedimento o per rinnovare la parte terminale dell’edificio.
Vi intervengano diverse maestranze: falegnami, carpentieri, muratori e “mastri di maramma”. I lavori hanno inizio nella primavera del 1835 quando viene approntato il «legname necessario nella costruzione della volta, giusto l’estimo di M. Michele Ballato e M. Carmelo Ragusa». Quest’ultimo è un mastro falegname di fiducia della chiesa, che troviamo associato, in questa fase, ai mastri “marammieri” Salvatore e Santo Fornaro, rispettivamente padre e figlio. Il completamento avviene l’anno successivo. L’annotazione di pagamento datata 29 settembre 1836 si riferisce, infatti, a lavori conclusivi quali «listone e volta, i canali e tetto, le brodate nella volta», le tegole (provenienti «dalla campagna di S. Margherita», zona ricca di creta e dove erano operanti diverse fornaci per la fabbricazione dei coppi).
Della pavimentazione con «balate di pietra forte» e «contorno di pietra nera», oggi non c’è più traccia.
E’ a seguito dei lavori precedenti, che il pavimento della chiesa necessita di restauro: si desume da una nota del 22 marzo 1837 per «compra di calce necessaria per acconciare il pavimento della Chiesa» e «per un giorno di M. Pietro D’Angelo ed un manovale per acconciare detto pavimento».
Sono lo stesso D’Angelo «marammiere» e mastro Raimondo Calabrese, appartenente ad altra famiglia di capomastri operante a Chiaramonte dal post terremoto al secolo scorso, che dall’ottobre 1838 all’agosto 1841 sistemano la pavimentazione «intagliando e sittando le balate». Con un lasso di tempo lungo che evidenzia un lavoro “in economia”.

A distanza di dieci anni la struttura della chiesa, specie la parte apicale, torna a manifestare segni di cedimento.
Necessitano di consolidamento: la volta, «l’arco del Cappellone che minacciava rovina», le pareti, specie quella occidentale, il prospetto.
Per evitare un collasso della struttura viene «sfabbricata la fabrica che poggiava sopra l’Arco Maggiore» poi si passa a «scaricare l’arco e fare il tetto mettere il trabe ed i forbici per levare il peso sopra l’arco» «chiudere le fessure, acconciare la loggetta» «chiudere e murare le fessure nella facciata di fuori e dentro il Cappellone».
I lavori furono eseguiti nel 1845.
I robusti contrafforti con ampie arcate, appoggiati alla parete occidentale, appartengono con molta probabilità a quest’intervento di consolidamento.
Il problema resta insoluto. Nei primi del settembre 1850 necessitava «la formazione di quattro catene di ferro perché la chiesa minacciava rovina».
L’intervento è affidato ai mastri Salvatore e Santo Fornaro, che già nel 1835 avevano consolidato la volta. Si tratta di «situare le catene» e sistemare la copertura consolidandola col gesso.

Nel 1856 in consonanza con quanto avveniva in altre chiese del comune, viene ripitturato e restaurato l’interno.
Artefice e primo finanziatore fu il rettore della chiesa Don Emanuele Nobile, che ne ha lasciato testimonianza autografa nella premessa all’esito dal 1 giugno 1856 sino ad agosto 1857:
«Si avverte che in quest’anno fu intonacata e pittata la chiesa e fatto tutto quanto che fu bisognevole; per la sola pittura furono impiegati onze 40, oltre a tutt’altro, e che la spesa ammontò a circa onze 100 …»
Fu l’intervento più notevole, dopo quello del 1750-70, sia come consolidamento che come abbellimento e restauro. Furono aggiunte pitture, fu rinnovato l’altare maggiore, la parte in pietra (con “balate petrapece”) opera di mastro Carmelo Pulichino, la struttura in legno dello scultore Rosario Distefano (1789-1874); furono realizzati arredi, le sedie presbiteriali opera di Salvatore Puccio (1812-1904), il confessionale-pergamo opera di Rosario Distefano. Fu pitturato e decorato l’interno, compresa la volta (tenue azzurro e giallo ocra), indorati gli altari.
Purtroppo fu anche l’ultimo intervento in consonanza ed equilibrio stilistico.
Pochi anni dopo, nel 1860, con la “costruzione dell’organo” si ha la prima rozza sovrastruttura. Si continuerà col saccheggio di decori e fregi, per allestire l’annuale “apparato festivo” (l’uso indiscriminato di chiodi, tavole, e addobbi è testimoniato nel registro degli esiti alla voce “Festa del Patriarca”). E con le pulizie ed imbiancature delle pareti, che hanno cancellato la patina pittorica ottocentesca (oggi scomparsa del tutto).
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 Note esplicative

1) «Da un atto del notaro Sebastiano Occhipinti si rileva che nel 1623 fu edificata la chiesa di S. Giuseppe. Essa era però allora più piccola, e vi si entrava per la porta or chiusa, che sporge in via S. Francesco.» S. Nicosia, Notizie storiche su Chiaramonte Gulfi, Ragusa, 1882; pag. 204

2) «Crescendo sempre la pietà dei fedeli, non ostante nel comune fosse stato alzato da poco un convento, sullo scorcio del 1623, il vicerettore Matteo Acciarito, fece gettare le fondamenta di una chiesetta in onore di S. Giuseppe. Il popolo però onde essere preservato dalla peste, portata nel seguente anno 1624 da una galera proveniente dall’Africa carica di schiavi ricomprati dalla carità siciliana, fece sì che fosse presto portata a termine.» C. Melfi, Cenni storici sulla città di Chiaramonte Gulfi, Ragusa, 1912; pag. 98.

3) «Di fatto nel 1623 ebbe principio l’erezione della piccola chiesa di S. Giuseppe, la cui decorazione fu commessa al Mellini. Però questa chiesa nel susseguente secolo fu prolungata e decorata di stucchi e dei lavori del Mellini rimase non innovato l’abside attorno al quale sono otto colonne corinzie con ricche decorazioni nei zoccoli, nel tergo dei fusti e nei capitelli, sui quali posa una elegantissima architravata con finissimi bassorilievi sottoposta ad una cornice con un addentellato seguito da leggiadri intagli.» C. Melfi, Le opere del Mancino e del Berrettaro in Chiaramonte, Noto, 1929; pag. 21.
La figura dell’architetto Simone Mellini e la collocazione temporale della fondazione della chiesa di S. Giuseppe fu desunta dagli storici Nicosia e Melfi (specie quest’ultimo che consultò archivi ed ebbe documentazione di prima mano) da un atto del 1623 rogato dal notaio Occhipinti ; purtroppo oggi non più riscontrabile in quanto il volume relativo all’anno 1623, custodito presso l’Archivio di Stato, sezione di Modica, è deteriorato e non consultabile.  SASM, Notaio Sebastiano Occhipinti (1611-1628), vol. 8.
Simone Mellini operante dagli inizi del ‘600 è ritenuto dagli scrittori locali, specie dal Melfi che purtroppo non dichiara le fonti storiche o documentarie da cui trae notizia, l’artefice di gran parte delle strutture architettoniche o plastiche, tardo rinascimentali, alcune giunte sino a noi. Per citarne alcune, in ordine cronologico, le statue di S. Vito e S. Francesco di Paola del prospetto della Chiesa Madre e quelle non più esistenti di S. Pietro e S. Paolo che ornavano il recinto antistante, scomparso con le riforme settecentesche e successive della piazza, ed una cappella interna non più esistente; la piccola chiesa di S. Giuseppe, della quale ci resta una porta laterale (a sud ovest) di sobria eleganza; la cappella maggiore della chiesa delle Grazie (chiesa edificata a partire dal 1616) e quella somigliante del Crocifisso nella chiesa di S. Maria di Gesù.

4) Tra i dipinti e le sculture posseduti dalla chiesa di S. Giuseppe, oggi sono ancora esistenti:
S. Giuseppe, una grande tela (320 x 230) un tempo sull’altare Maggiore; olio di autore ignoto, di mediocre pregio, del secolo XVIII. E’ stato restaurato negli ultimi decenni.
S. Ignazio di Loyola, attr. a Costantino Carasi (Noto 1717 – 1779), tela di cm. 300 x 200. Primo altare parete destra. L’attribuzione al Carasi è ipotizzabile sia per la testimonianza del Melfi (Le opere del Mancini e del Berrettaro, Noto, 1929; pag.38) «Nel 1775 i Giurati chiamarono il notinese Costantino Garrasi (sic) al quale, a loro spese fecero eseguire la tela di S. Ignazio di Loyola per la chiesa di S. Giuseppe», sia per confronto stilistico con le sue opere ampiamente presenti nell’area siracusana e ragusana. Numerosi studi ( Citti Siracusano, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma, 1986; G: Barbera (a cura), Opere d’arte restaurate nella provincia di Siracusa e Ragusa, II, Siracusa, 1989 (scheda 20); F. Balsamo, Costantino Carasi, protagonista della pittura netina del Settecento,in QdM, Siracusa 1998) hanno definito artista ed opere.
S. Francesco di Paola, attr. a Giovannino Ventura, pittore chiaramontano vissuto nel XVIII secolo operante dalla seconda metà del Settecento. Figlio del più noto Simone è modesto pittore orbitante nell’area degli epigoni del D’Anna e Sozzi. Tela di cm 230 x320.
S. Eligio, olio d’autore ignoto. Datato «1776», in un cartiglio in basso a destra. E’ posto nel primo altare della parete sinistra.
Madonna delle Grazie, attr. dai locali a Vito D’Anna, ma certamente opera di un epigono. Misura cm 300x 200; è posto nel secondo altare della parete sinistra.
S. Giuseppe, statua lignea, colorata. Datata 1737. La tradizione popolare la attribuisce a non precisato artista palermitano. Potrebbe appartenere alla bottega del Bagnasco. Le eleganti aureole del Patriarca e del Bambin Gesù, in argento sbalzato, sono opera di Salvatore Puccio (rispettivamente, firmate e datate: S. Puccio 1867,  1873).
Assunzione di Maria, gruppo scultoreo (stucchi bianchi e colorati) che sormonta la cappella di S. Giuseppe in alto al centro del catino absidale. Vengono attribuiti dai memorialisti locali a Giovanni Gianforma. E’ attestata nella seconda metà del secolo XVII la presenza dell’artista nell’area iblea. Più che probante la sua paternità.
Tempere (5 tondi sulle pareti con episodi della vita di S. Giuseppe, Arcangelo Gabrile e S. Michele Arcangelo).
Via Crucis (olio su lastre di zinco) opera del Sac. Gaetano Distefano (Chiaramonte 1809 – ivi 1896), autore di molte opere pittoriche nell’area iblea.
S. Anna, S. Gioacchino, S. Elisabetta, S. Zaccaria: quattro statue in pietra attribuite dagli storici locali a Benedetto Cultraro, scultore chiaramontano vissuto a cavallo del XVIII secolo; ma sembrano piuttosto essere parte della decorazione del Mellini, a cui, per confronto stilistico con le altre opere esistenti in Chiaramonte e specie con le due statue di S. Vito e S. Francesco di Paola  del prospetto della Chiesa Madre, si possono con maggior verosimiglianza attribuire. Il recente restauro, ha evidenziato a seguito della pulitura delle quattro statue il loro connotato seicentesco (compresa la decorazione con cromie forti che era stata nascosta dalle numerose ripinture).
5) 12 luglio 1745 - I procuratori della chiesa di Gulfi incaricano mastro Giuseppe Sciacco di Chiaramonte di «perfectionare il campanile già cominciato di detta Ven. Chiesa di Gulfi secondo il disegno che li daranno essi procuratori e d’intaglio di pietra della perrera della Valatazza della med. qualità che sono gli intagli della facciata di d. Chiesa e benvisto al rev. Sac. D. Stefano Cutello»  (SASM, notaio Pietro Antonio Bonelli, vol. 4 f. 752)
Estratto da: Giuseppe Cultrera, Artisti & artigiani,Aspetti e momenti dell'architettura religiosa a Chiaramonte G. , 2003.

mercoledì 15 luglio 2015

Un Circolo e due Società di Mutuo Soccorso ... tante storie ...

Certo - parlare di tempo libero, in un'epoca in cui dentro il vissuto comunitario di un piccolo centro come Chiaramonte, c'era spazio a stento per la sussistenza e di libero o liberato restava ben poco: stretti tra stereotipi, tabù e conformismi tesi a fugare o esorcizzare eventuali devianze ideologiche, religiose o comportamentali - è voler cercare il pelo nell'uovo o come dicevano quei nostri antenati lavari a testa 'o sceccu o pittinàri 'a jatta!
Anche se il farmacista, il medico, l'avvocato, il notaio ...  il cavaliere o il  nobilotto  e qualche agiato agricoltore, il tempo e il luogo per "godersi la vita" lo trovavano. Per loro, e pochi altri fortunati, la giornata non iniziava all'alba e si concludeva al tramonto, riempita di solo duro lavoro. Aveva spiragli (per qualcuno squarci grandi come certi sbadigli che non finiscono mai) per il riposo, il divertimento, le relazioni.

Perchè era cambiata e continuava a cambiare anche la società; e la nuova variegata classe sociale, la borghesia, elaborava  un modello moderno di vissuto collettivo. Anche in Sicilia,  nella plaga più meridionale dell'Italia Unita, la provincia di Siracusa, della quale faceva parte  Chiaramonte.

Nel  1823, esattamente il 25 marzo, un gruppo di notabili chiaramontani presenta alla Intendenza (per capirci, qualcosa di simile all'attuale prefettura e questura messi insieme) di Noto  domanda di istituire  "una sala di conversazione per avere un  intrattenimento nelle ore di ozio". Che sorgerà negli anni successivi con la denominazione  di Casino di conversazione  con  propria sede appositamente costruita al centro della città: proprio al centro, nel senso che occupava, con la fabbrica retrostante parte di suolo pubblico, ostruendo la centrale via della Posta, che diverrà, pertanto, dalla parte della piazza un vicolo cieco, e a lato del Circolo una arteria mozza ( ma vivaddio! quando nel nuovo sodalizio c'era la crema politica economica e sociale della città - oggi si chiamerebbero i poteri forti - ogni ostacolo svaniva e le regole si adattavano).
Aveva, all'inizio, solo 65 soci. E anche quando il numero aumentò, sempre selezionati e sottoposti ad attento esame furono gli aspiranti! Subdole e crudeli, spesso, le palline nere sovrastarono quelle bianche, troncando aspirazioni e  avallando rivalse o vendette. Di cavalleresco c'era solo l'altra denominazione popolare (circolo dei cavalieri): le liti per pretesi vantaggi o inosservanza delle regole, giungevano fioche in piazza ai popolani che il tempo per giocare a carte e biliardo, leggere il giornale o fumare il sigaro, non l'avevano. Che quando smettevano qualche ora di lavorare e si vestivano a festa era per seguire le processioni religiose o contrattare alla fiera e al mercato ....

Tra i soci ci fu il barone Serafino Amabile Guastella, liberale e progressista, scrittore acuto e colto etnoantropologo. Non disdegnava, il Guastella, l'ironia e il sarcasmo: rivolti sia al popolo che ai suoi sodali (qui il nostro faceva la differenza, in quanto ai secondi non faceva, come suol dirsi, sconti!). La poesia satirica che scrisse per il barbiere Paolo Molè, che era servitore-custode part time nel Circolo, onde impetrare qualche mancia e un tozzo di pane per sè e l'affamata famiglia, non è solo un sagace componimento poetico, ma come spesso avviene nelle opere del Guastella,  squarcio sociologico del tempo e dei costumi.
Ma qui lascio spazio alla vostra curiosità, che potrete appagare domani durante la settimanale passeggiata, che avrà tra le tappe appunto il Circolo di Conversazione... e non anticipo  nulla, perchè anch'io  non conosco le sorprese che hanno approntato i padroni di casa...

Sospendo un discorso che continuerò in una seconda puntata che oltre a completare la notizia su questo originale sodalizio, affronterò in breve la storia dei corrispettivi luoghi di aggregazione della classe operaia ed artigiana: le società operaie di mutuo soccorso. Le due principali, sorsero quasi un secolo dopo, ed ebbero sede in piazza (dove sono tutt'ora). Costituite agli inizi del novecento, furono intitolate una a Vittorio Emanuele III e l'altra ad Umberto I. Sono altre due tappe di domani: vi racconterò (aiutato dai loro presidenti) storie ed aspirazioni, di grandi e piccoli uomini: il commendatore Evangelista Rizza, senatore del regno d'Italia, che cedette a buon prezzo un proprio locale della piazza (un tempo fondaco) per ospitare la Umberto I e il dottore Michelangelo Casì, dinamico e colto filantropo, che in qualità di creatore e primo presidente dell'altra Società operaia , acquistò i locali del centrale Gran Salone, per farne la sede. Sedi arricchite da elegante mobilia, tempere e dipinti dei noti pittori Nicolò Distefano,  Giovanni Cutrone inteso sansone, Giovanni De Vita...



Ci vediamo domani.

[continua]