Architettura rurale - Ville e masserie iblee
Punteggiano, lievi ed
eleganti, il paesaggio umano, immerse nel verde degli olivi, dei mandorli, dei
carrubi, imprigionate dal dedalo bianco dei muri a secco: sono le ville rurali
e le masserie sette‑ottocentesche sparse nel territorio ibleo (1). Sorsero nel
secolo scorso in massima parte ‑ alcune,
specie le fattorie e masserie, risalgono agli inizi del secolo XVIII (2) ed
alla ricostruzione post terremoto ‑ ed ebbero funzioni ed utilizzo vario.
Espressione di una classe
piccolo nobiliare o borghese agiata, rappresentano il legame affettivo alla
proprietà rurale e l'alternativa, delle zone interne, alla villeggiatura
estiva. A secondo della funzione, varia la tipologia costruttiva: un edificio
semplice e snello a due piani per la villeggiatura, un edificio ampio, con la
corte chiusa e con corredo di corpi minori quali opifici, case coloniche,
cappella, magazzini per la masseria, da utilizzare tutto l'anno, durante i
cicli di produzione (3).
E' chiaro che la grandezza
dell'edificio e la vastità dell'eventuale giardino annesso sono in proporzione
all'importanza, reale o pretesa, del proprietario.
Al loro moltiplicarsi
contribuì, a partire dalla seconda metà ottocento, la trasformazione
capitalistica delle campagne, con la diffusione sistematica dei campi chiusi,
l'incentivazione dell'agricoltura intensiva e razionale, la costruzione delle
strade di collegamento interno e della ferrovia, avviate dal governo
dell'Italia unita (4).
Inoltre con la bonifica dei
territorio, iniziata nel secolo precedente col disboscamento, una vasta
porzione di campagna, specie nella fascia pianeggiante degradante verso la
marina, fu recuperata alla coltivazione dei vigneti e all'impianto di nuovi
oliveti.
Le fattorie e le case
coloniche, perciò, si adattarono alla estrazione, immagazzinamento e
commercializzazione dei prodotti agricoli: molti palmenti e frantoi datano da
questa fase.
La famiglia del
proprietario nel periodo estivo si trasferiva nelle abitazioni rurali (dove nel
resto dell'anno abitava permanentemente fattore o soprastante) e partecipava o
assisteva alle fasi di trebbiatura, alla bacchiatura e raccolta delle olive,
mandorle e carrube, alla raccolta e pigiatura delle uve; e nel contempo
trascorreva il periodo di villeggiatura nella accogliente parte della villa o
masseria, che il proprietario aveva destinato a sè e ai famigliari (5).
Tipologia degli edifici rurali
Una suddivisione dei tipi
di dimore rurali, è solo esemplificativa: ed è, tenendo conto degli studi di
Aldo Pecora, Giorgio Valussi, Mario Giorgianni,
Annalena Lippi Guidi ecc. (6) che qui si dà sommaria descrizione.
Nell'area Iblea, in
generale, possiamo dividerle in
a) masseria;
b) villa fattoria;
e) abitazione del
coltivatore diretto;
d) casa di villeggiatura.
Escludendo le strutture di
più modesta entità (quali ricoveri, magazzini, edifici sacrali extraurbani) che
potrebbero formare un altro paio di categorie.
La Masseria è senz'altro la più antica struttura abitativa rurale;
corrispondeva alle massae, alle cortes, alle castra medioevali (7), e pur non essendo tanto antiche, conservano
di quelle progenitrici, tipologie e modelli.
La costruzione ad esempio
in luogo elevato, spesso impervio e brullo: il ché produceva due vantaggi,
l'utilizzo della porzione di terreno meno coltivabile e il controllo del feudo
o proprietà, oltre alla facilità di difesa da possibili nemici. Che erano, dal
secolo XVII al XIX, periodo al quale appartengono molte di queste masserie
tutt'ora esistenti, i briganti che liberamente scorazzavano nel territorio e,
specie di notte, tentavano qualche sortita (8). Sicché l'ingresso era protetto
da una piccola torre o terrazza di avvistamento, con numerose feritoie per
respingere, senza essere colpiti l'assalitore, e un piccolo vestibolo dove venivano
deposte le armi. Ovviamente questo tipo di struttura è a corte chiusa, con
tutte le aperture che si affacciano sul cortile (bàgghiu) interno, e solo strette finestre, o prese d'aria munite
di robuste inferriate che danno sull'esterno; in alcune (es. la masseria di
Casasia, territorio di Monterosso) le feritoie sono attorno a tutto l'edificio,
con raddoppiata funzione di difesa. La costruzione denota, quasi sempre,
assenza di schemi progettuali; e si evince, la vicenda costruttiva, dai
numerosi aggiustamenti e rimaneggiamenti che producono la sovrapposizione di un
corpo o l'aggiunta di un magazzino, o del piano rialzato per il proprietario; o
persino di una chiesetta per le funzioni religiose domenicali.
Spesso questo edificio
sorge accanto o ingloba una struttura antica preesistente, bizantina o
medievale, più comunemente una torre di avvistamento medievale (9) o si accosta
a grotte ancora più antiche, primitivi ricoveri o rudimentali palmenti e
frantoi, che ingloba come nucleo laterale (10).
In funzione del ciclo
produttivo e dell'ubicazione si può distinguere, secondo una acuta
classificazione di A. Pecora (11) in:
a) ragusana (comune
nell'altopiano ragusano e modicano) con preminenza dell'allevamento bovino e
coltura di fieno e granaglie per le bestie; struttura a corte chiusa ed aperta,
corpi allineati o giustapposti, pietra da intaglio (ricavata dal calcare
affiorante sull'altopiano) per gli stipiti delle porte e finestre, i cantonali,
gli archi, il basolato. L'abitazione
è circondata da numerosi muri a secco per proteggere ‑ dal passaggio e dalla
voracità degli animali ‑ gli alberi da frutto, da ombra, il piccolo orto ecc.
E', generalmente, relativamente più recente e più piccola della masseria comune
al resto della Sicilia e del territorio íbleo.
b) Siracusana, più comune
nella Sicilia sud orientale, e per quanto riguarda l'aria nostra, nel
territorio di Comiso, Vittoria, Acate, Chiararnonte, Giarratana, Monterosso,
Ispica e Scicli.
Come detto, è più complessa
come struttura, con ancora la preminenza del tipo a corte chiusa. Presenta,
oltre all'abitazione dei lavoratori, la casa sopraelevata, del padrone e i
magazzini e le stalle, gli opifici, quali il frantoio per l'estrazione
dell'olio e il palmento per la pigiatura delle uve, Il cortile interno (bàgghiu) è più ampio del tipo ragusano,
ha al centro o su un lato corto, il pozzo o la cisterna, sedili e panche in
pietra (ticcène) numerosi ganci in
pietra o ferro (úccule) per legarvi
le bestie da soma; un ampio locale per ospitare il bracciantato avventizio,
numeroso nel periodo della raccolta delle uve e delle olive, della semina,
mietitura e trebbiatura.
Se la masseria è grande, è
sempre presente una cappella, per non interrompere il cielo lavorativo, e
permettere le pratiche devozionali, specie il precetto domenicale, al numeroso
bracciantato, la maggior parte del quale era spesso costituito da donne.
Ad un periodo successivo,
fine settecento e ottocento, appartiene il tipo di villa fattoria collegata a un fondo di media estensione, con corpo
centrato e disposizione su due piani, corte aperta, spesso elegante scalone di
accesso, pianta quadrangolare con tetto a quattro falde, o a spiovente. Il
piano superiore appartiene al padrone e alla sua famiglia; nei bassi,
alloggiano il mezzadro, qualche occasionale lavorante, vi sono ubicate le
stalle e i magazzini, a volte il palmento o il frantoio.
Espressione di una piccola
nobiltà o di una borghesia agiata questo edificio rurale ha connotati estetici
più ricercati; eleganza delle aperture, prospetto animato da leggere paraste, e
qualche volta anche da colonne (12). L'interno ha saloni ampi e spesso decorati
con pitture. In comune con la casa di villeggiatura (la cui funzione, dal XIX
secolo, a volte, svolge nel periodo estivo) ha l’inclinazione all'eclettismo
architettonico.
L'abitazione del coltivatore diretto è in piccolo la villa
fattoria: abitazione di un solo agricoltore, agiato, padrone di un fondo di
due/cinque ettari a seguito della quotizzazione dei demani feudali. Spesso ad
un solo piano, ha semplicità di pianta e di materiali; non manca il magazzino
per gli attrezzi, la carretteria (dalla
seconda metà ottocento quando la costruzione delle strade permette l'utilizzo
del carro agricolo) la pagghialora, cisterna o pozzo sul
davanti.
La casa di villeggiatura
Anche se inserite nel
tessuto rurale, non sono finalizzate alla conduzione dell'azienda agricola o
allo sfruttamento della campagna; sono altresì l'espressione di una nuova
classe sociale, di nuove esigenze e l'esternazione di uno status raggiunto. La
vacanza, vale a dire la pausa dal lavoro, è un concetto nuovo, estraneo alla
pigra nobiltà sette ottocentesca, inattiva tutto l'anno, chiusa nei reiterati
riti di gruppo.
La borghesia e i ricchi
commercianti, spesso assurti attraverso matrimoni di comodo allo stato
aristocratico, sono i principali committenti di queste eleganti strutture. La
funzione esclusivamente di villeggiatura (è questo il termine in voga sul
finire ottocento‑primi del novecento) rende superflui tutti i corpi edilizi
destinati alla conduzione dell'azienda agricola o allevatrice: resta solo la
struttura centrale, quella del padrone di casa, che si ingentilisce e si
arricchisce di comodità od “otii”
come si diceva allora.
La mano dell'architetto o
del capo mastro è ora evidente, i fregi sono più numerosi e più ricercati,
l'eclettismo è il credo dei progettisti.
Una variante minore di
questo tipo di villa, è la "casina
di villeggiatura" piccola struttura, spesso ad un solo piano, che ha
la massima diffusione nei primi venti anni del 900. Sobria nell'impostazione è
comunemente di ispirazione liberty; e si sviluppa poco distante dall'abitato,
nella zona intermedia tra la campagna e la città.
Appartengono al periodo
storico più vicino a noi, metà ottocento inizio del novecento e oltre, le ville
sub urbane, destinate esclusivamente alla villeggiatura (13). Sono per molti versi gli esiti stilistici e costruttivi più
interessanti: dove il committente esige dall'artigiano un prodotto che esprima
lo status sociale raggiunto o l'appartenenza ad una classe già privilegiata,
come era avvenuto per le dimore delle Città (14).
Cinque esemplificazioni
1 – MASSERIA TORRE VECCHIA,
contrada Dirillo, Acate (1668)
Appartenente in origine ai
principi Mirti, oggi è proprietà di una azienda vinicola. Masseria di tipo a recinto con due cortili attorno ai quali si
dispongono le varie parti: abitazione del soprastante, del fattore, ambiente di
servizio, cappella, casa del proprietario e (nell'altro cortile più piccolo)
magazzini e abitazioni dei lavoranti. La struttura è oltre che imponente molto
vasta; e il restauro e riadattamento funzionale recente, ha conservato
l'aspetto originario.
L'epoca di edificazione si
può far risalire alla fine dei secolo XVII, ne è testimonianza una iscrizione
sull'architrave della cappella datata 1668. Evidentemente molti dei corpi
minori aggiunti man mano sono di epoca successiva. Tra questi il trappeto e il palmento per la
pigiatura delle uve o l'elegante basolato
dei cortile interno con pozzo‑cisterna al centro.
L'abitazione del
proprietario denota con la sua imponenza e l'eleganza delle soluzioni
costruttive (la scala laterale di accesso al piano alto, le aperture sui
prospetti) l'alto rango di appartenenza.
1 bis ‑ MASSERIA TORRE
NUOVA, contrada Dirillo, Acate (secolo XVIII).
Alla fine settecento inizio
ottocento appartiene questa altra masseria proprietà in origine dei conti
Lanza. Gli edifici si sviluppano attorno ad un ampio atrio, tutti, ad
esclusione della casa del fattore e del padrone, ad unico piano. 1 più recenti,
datati 1934/1936, sono il trappeto e
il palmento; ma fanno presumere che sostituiscano opifici più antichi
sicuramente esistenti, data la prevalenza, nella zona, della coltura dell'olivo
e della vite. E' l'evoluzione, sette ottocentesca, della masseria precedente.
VILLA FATTORIA VENTURA,
contrada Pretepaolo, Chiaramonte Gulfi (1613/1780).
La villa Ventura, oggi
Arezzo, in contrada Pretepaolo (territorio di Chiaramonte Gulfi) ha un iter
costruttivo, documentato, dal 1613 al 1950. Tre corpi sovrapposti abbastanza
ben integrati, rapporto con la campagna adiacente, economico e produttivo,
continuato ed equilibrato: un esempio di azienda rurale funzionale funzionante
dal suo nascere a tutt'oggi,
Sorge nella fertile vallata
sottostante la città di Chiaramonte Gulfi, su una leggera altura. Risale per la
parte più antica, come si diceva, ai primi anni del 1600 (la data 1613 era
scolpita sul finale di un cantonale) (15);
questa porzione di edificio è quella che occupa il lato nord est e nord
ovest e che conserva la tipologia semplice e massiccia originaria sia nella
facciata esterna che nelle scansioni interne. 1 balconi con ballatoi circolari
e semplici mensole, le cornici aggettanti in pietra tenera intagliata; le
aperture dei bassi in corrispondenza simmetrica di eguale semplicità, appena
elusa nelle porte principali.
Più vistosamente
pretenziosa la ristrutturazione, a partire dal 1780 (16), che sovrappose al lato sud ovest e sud est un prospetto
neogotico, spostò l'accesso principale a sud proteggendolo con una corte
chiusa. Nell'interno si ha la coesistenza dei due tempi dell'edificazione per
cui si passa da un settore all'altro con piani sfalsati o addirittura con
ribassamenti.
L'elegante nuovo prospetto
è animato dalle aperture a sesto acuto nel piano terra, e dalle eleganti bifore
nelle finestre del piano alto, tutte con abbondanza di fregi e di pietra
intagliata; e ovviamente la vistosa parata di merli. Dello stesso periodo
(1784) è la chiesetta che prospetta sulla corte aperta, sulla cui chiave di
volte oltre alla citata data, troviamo lo stemma della famiglia Ventura,
proprietaria fino alla fine ottocento della Villa e fondo. Questa chiesetta fu
funzionante fino agli anni '60, e la messa domenicale raccoglieva oltre ai
lavoranti del fondo, i vicini abitanti delle contrade Gerardo, Morana e Piano
Zacchi. Altro pubblico raccoglievano, tra metà ottocento e fine secolo, i
saloni della villa: punto di incontro della nobiltà agraria e della borghesia
che nel proprietario il barone Filippo Nicastro Ventura, deputato del regno per
più legislature, e longa manus del
sindaco, aveva il proprio referente politico (17). Si diceva che in quelle stanze si prendessero le decisioni
municipali e scelte politiche ed economiche generali sollecitate da istanze dei
suoi clienti.
E ad una nobiltà e
borghesia colta e protesa alla "bella vita" era finalizzata la villa
nella sua ultima trasformazione ottocentesca: con il completamento dei corpi
neogotici, le basole nei due cortili, il giardino ampio e ricco di ornamenti e piante
esotiche (oggi sopraffatto dalla vegetazione; ma tracce del quale, specie nelle
vicinanze della villa, testimoniano l'originalità e lo splendore passato, non
ultimo alcune vestigia di pitturazione in stile
pompeiano).
Agli inizi del novecento
proprietà e villa passano alla famiglia Morso, un figlio dei quali l'estroso
Franz Morso, tenterà la scalata politica come deputato. Che probabilmente è
alla base delle difficoltà economiche che in seguito travaglieranno la famiglia
fino alla cessione dell'azienda. Viene acquistata da una ricca famiglia
ragusana, gli Arezzo, che tutt'ora la gestiscono. Un ultimo intervento sulla
struttura edilizia avviene nel 1950: a seguito di lesioni sul lato nord est (il
più antico) determinate dai sondaggi petroliferi nelle vicinanze a cura della
Gulf Oil Co. La responsabile dell'incidente si occupa del consolidamento della
parte lesionata e, a parziale indennizzo, sul lato nord edifica una terrazza in
consonanza con l'edificio. Un altro corpo edilizio, destinato a stalle, di
recente costruzione testimonia la continuità funzionale dell'azienda, fino agli
anni scorsi.
3 ~ VILLA GRAZIA, contrada
Michelica, Modica (18 10)
La villa Grazia sorge nelle
vicinanze di Modica, a cinque Km sulla SS 115 per Ispica. E' un elegante
edificio nobiliare dì villeggiatura, con ampio ed elegante giardino, stanze per
ospiti e per la servitù; magazzini e stalle.
Risale per il primo nucleo,
che era una casa colonica, alla fine del XVIII secolo ed era proprietà dei
baroni Tornasi Rosso. Questo nucleo fu ingrandito e trasformato in villa
intorno al 1810 dal Barone Francesco
Ignazio Tomasi Rosso. Divenne poi, tra metà e fine dello stesso secolo,
proprietà del figlio Saverio e della di lui moglie Grazia Tedeschi
Impellizzeri, dalla quale prese nome.
Agli inizi del novecento la
villa fu ereditata dai nipote di costei, Corradino Tedeschi, che aggiunse il
monumentale ingresso, riformò in stile liberty il prospetto, fece affrescare
nello stesso stile gli interni e impiantò, su progettazione e direzione di un
architetto francese, il giardino. Sicché in quegli anni la villa "conobbe
il periodo più vivace, essendo uno dei salotti più frequentati di Modica; fu
soprannominata la Regina, poiché era
la più bella che si potesse trovare in tutta l'area" (18). La villa, come
appare oggi, ha un accesso monumentale e si presenta incompleta del lato destro
(19), circondata da alte mura che
quasi la mimetizzano nel pianeggiante fondo sul quale è ubicata. Il giardino
ricco di piante ed elegantemente strutturato è animato da arredi quali colonne,
vasi da fiori, scalinate e da un tempietto neo classico.
La divisione interna è
razionale: la parte riservata ai padroni di casa si affaccia sul lato esterno,
quella della servitù sul cortile interno. Ampi saloni, decorati con pitture, e
salottini vari si succedono numerosi nelle due ali destinate ai padroni ai loro
ospiti: testimonianze dì una vita sociale agiata e raffinata.
4 ‑ VILLA RIZZA, contrada
Fegotto, Chiaramonte Gulfi (1870)
Villa Rizza è l'esempio di
azienda agricola sorta, dopo l'unità d'Italia sull'onda del nuovo interesse per
l'agricoltura e per il razionale sfruttamento delle sue risorse.
La fattoria edificata
intorno al 1830 ad opera di Vito Rizza fu, nel 1870, a cura dei figlio
Evangelista, ristrutturata in azienda rurale (20).
Una mappa dell'azienda
(1878) ci da il dettaglio della disposizione dei locali e l'ampiezza del
complesso (che poi è lo stesso di oggi). Attorno alla grande corte centrale si
dispongono i magazzini di granaglie, carretteria,
chiesa, abitazioni dei lavoranti, stalle e pagliere,
cantina, caldaia e fornace, palmento, bottiglieria, cisterna ed abbeveratoio, trappeto con macina, forno e cucina (per
i lavoranti), abitazione della massaia, scuderie, attrezzi da stalla e da
basto, latrine, pollaio, porcile" appartamenti padronali (piani superiori)
e giardino annesso.
I due accessi, “Est da
Chiaramonte”" e “Ovest da Vittoria”, che si collegano con le due
principali strade che attraversano il latifondo, appunto quella che porta nella
soprastante città di Chiaramonte e l'altra sul fronte opposto che si snoda
nella vallata verso le zone marine, si riuniscono al centro del complesso
edilizio nella grande corte lastricata con piccole basole di calcare duro.
Attorno a questa
"piazza" si svolge la piccola città agricola, con la sua chiesa, le
sue monumentali cantine, i vari opifici, le cucine e le stanze per i lavoranti
stagionali e per i soprastanti e mezzadri. E persino la scuola (21). Sul lato
meglio esposto (di fronte ai due accessi e rivolto a sud) troviamo la dimora
dei padrone, i cui bassi erano destinati
alla produzione.
Una scala a forbice conduce
al piano superiore il cui portico è abbellito da quattro colonne; la facciata
si slancia ancora con un terzo piano che continua il sapiente gioco di pieni e
vuoti con lesene che formano archi ciechi.
Il tutto coronato da un
piccolo campanile (22).
L’interno è decorato con
pitture; i pavimenti sono in ceramica di Caltagirone e mattoni di pietra pece.
Le stanze, come avviene comunemente negli edifici di questo periodo, sono
disposte in successione.
I resti del giardino
rivelano la sua ampiezza e l'originale alternanza di piante decorative e piante
da frutto, con spazi dedicati all'orto domestico.
Proprietario della villa,
nel suo massimo splendore, fu quel Don Evangelista Rizza, ricco proprietario
terriero di origini borghesi, divenuto poi potente deputato ibleo sul finire
dell'ottocento. Potentissimo e temuto dagli avversari, seppe coniugare gestione
del potere e illuminata imprenditoria (23).
VILLA MOLTISANTI, contrada
Palazzello, Ragusa (secolo XIX)
Appartiene alle ville
suburbane che sorsero numerose, appena fuori dalla città sul finire
dell'ottocento e, specialmente, tra inizio e primo ventennio del nostro secolo;
e che oggi inglobate nella espansione della nuova Ragusa, in poche sono
sopravissute. Fu edificata sul finire del secolo scorso da maestranze locali su
progetto dell'ing. Giovanni Migliorisi "il maggiore rappresentante in loco
della Scuola Accademica di Architettura" (24) autore, tra l'altro, a Ibla
del Palazzo Arezzo e a Ragusa Superiore del Palazzo Garofalo, del Palazzo Di
Natale e del convento di via Mariannina Schininà. Degli edifici citati, specie
del Palazzo Di Natale, la Villa
Moltisanti ripete gli elementi stilistici.
L’influsso della nuova architettura,
che nell'isola ebbe l'elemento più rappresentativo nell'architetto palermitano
G.B. Basile, "qui si sente maggiormente, pur nel frasario
classicheggiante" (25).
La facciata più
interessante è quella rivolta ad est, movimentata da due terrazze aggettanti.
Le decorazioni delle aperture, in pietra tenera locale, sono sobrie ed eleganti
nello stesso tempo (e qui è più evidente la lezione del Basile, le cui
tematiche sarebbero divenute leggibili nel palazzo Bruno della vicina Ispica).
Oggi della villa restano le
sole strutture e i prospetti esterni; la sua robusta fibra evitò la demolizione
nel 1943, quando i militari tedeschi che l'avevano usata come sede del loro
comando, in ritirata, la minarono con l'intento di distruggerla. Scampata alla
guerra sembrava che negli anni '90 dovesse soccombere alle ruspe: le proteste
di cittadini e ambientalisti e il vivace dibattito che ha animato intellettuali
e responsabili della cosa pubblica, pare aver scongiurato il pericolo.
Sembra chiuso, per molte di
queste antiche dimore, il ciclo della vita: giacciono, incuneate tra una
estemporanea e turbolenta edilizia moderna, tra esasperate recinzioni e
monumentali muraglie di cemento dentro un irrazionale sfruttamento del
territorio, non più in armonia col paesaggio circostante. Quel paesaggio umano
del quale erano parti integranti, assieme
all'uomo che tali spazi abitò e colonizzò.
Spezzate anche le ragnatele
di mura a secco e gli altri segni, più o meno grandi, della presenza e del
lavoro dell'uomo nel corso dei secoli, prende il sopravvento una deteriore
urbanizzazione della campagna ‑ più evidente nelle zone marine e nelle
vicinanze di arterie di comunicazione o di contrade munite di servizi ‑ che
replica, esasperando le forme più deteriori, le problematiche delle città del
nostro tempo.
Ma è proprio cessata,
allora, ogni loro funzione; non è più possibile ricondurle al legame con l'uomo
e col territorio, che fu ragione del loro nascere ed esistere? Certamente no. E
lo dimostrano il recupero di alcune
di esse, in funzione agrituristica, di razionalizzazione dell'agricoltura, di
riconversione in strutture sociali o culturali, commerciali (26).
L'Ente Provinciale Turismo
(oggi A. A. P. I. T.) di Ragusa sul finire degli anni settanta acquistò una
masseria in contrada Castiglione, dando il primo intelligente impulso non solo
alla tutela, ma indicando una strada di utilizzazione e riconversione di queste
strutture legate al mondo del lavoro agricolo (27)
Negli ultimi anni alcune
delle più funzionali sono state ristrutturate in fattorie agrituristiche o in
ristoranti, altre sono tornate ad essere abitazioni estive per la
villeggiatura, magari senza i fasti che accompagnarono il loro periodo iniziale
di vita; qualcuna ha conservato il ruolo di status
simbol e cerca, oggi, un acquirente che voglia, a suon di milioni, quel
ruolo esplicitare (28).
[1996] Tratto da:
G. Cultrera, Edilizia rurale negli iblei. Le ville, in AA. VV. La provincia iblea dall’unità al secondo
dopoguerra,
Ragusa, 1996.
Le note si possono consultare sul volume sopra citato.
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