sabato 13 agosto 2016

La memoria restaurata

A proposito del restauro di una edicola sacra in c.da Santissimo (Chiaramonte Gulfi)

Di recente è stata restaurata una antica edicola, nota con la denominazione di Santissimo; si trova a Chiaramonte Gulfi, al confine col territorio di Ragusa, nella contrada  che mutua da lunga data la denominazione, contigua alla più nota di Maltempo. Corrado Melfi (Le vie dell'agro chiaramontano, 1924) parlando delle principali regie trazzere del territorio attesta la presenza di questa struttura cultuale: "Quella che scende da Maltempo (strada) dove vi è una nicchietta con effigiato l'Ostensorio, che alla località dà pure il nome di Santissimo fu detta la via di Modica perchè era l'unica strada che recava nella città dove si svolgevano gli affari della Contea."
Che fosse molto antica, oltre al toponimo (riscontrabile in atti del secolo XVII), lo si evince da un'altra formella/edicola accanto alla porta dell'Annunziata, sempre a Chiaramonte, unico resto del castello medievale. E' collocata proprio accanto alla porta dalla parte interna: ad essa il cittadino che usciva o arrivava rivolgeva un saluto ed una preghiera. Stessa funzione aveva questa edicola posta al limite estremo (uscita ed accesso) del territorio chiaramontano confinante con Ragusa e (allora) la provincia di Siracusa.
Il restauro (da quanto ho saputo) è stato curato dai proprietari della casa e terreno limitrofo, che la ricordavano da ragazzini; anche in ricordo dei loro avi che ne avevano curato la conservazione.
Fu diverse volte ricostruita; poi si demolì in buona parte negli anni 50 del secolo scorso, dopo che ne fu asportata l'icona, un bassorilievo che rappresentava il Santissimo Sacramento. Ma già prima aveva subito uguale sorte un altra più antica icona, fatta oggetto - sembra - dai cercatori di tesori.
Ne parlavo nella scheda (che riproduco sotto) all'interno del volume IL SEGNO E IL SITO edicole cappelle e luoghi sacri nel territorio di Chiaramonte, Utopia Edizioni, 2005; pagina 128.

Mi fa piacere segnalare questo recupero e salvaguardia di un elemento di cultura popolare, che se anche non notevole come manufatto artistico, rappresenta parte della nostra identità e memoria. Si aggiunge al restauro della Edicola sacra di c.da Piano dell'Acqua - dedicata alla Madonna di Gulfi - che oggi pomeriggio viene riconsegnata, così come era nel secolo scorso.a quella comunità.




Chiaramonte Gulfi, contrada Santissimo. Edicola sacra.





































Scheda 17 ~ (Santissimo), edicola; c.da Santissimo.

Posta al limite del territorio comunale, fu già violata una prima volta all'inizio secolo, e in quell'occasione l'icona fu sostituita con una analoga esistente nella via Gulfi recuperata nella ristrutturazione di una abitazione (restano ancora due teste d’angelo a destra e sinistra del luogo dove era collocato il bassorilievo).Resta solo lo zoccolo e parte dell'edicola; il bassorilievo raffigurante il Sacramento fu asportato negli anni 50/60. Dando fede a testimonianze da me raccolte, fu distrutta da cercatori di tesori.
Indicata sulla carta IGM.
Bibl.: Notizie sull'edicola in: G. Puccio, Cenni corografici sulla città di Chiaramonte, Ragusa 1908: pag. 21; C. Melfi, Le vie dell'agro, op. cit. pag. 4.



domenica 7 agosto 2016

Chiesa di S. Vito - Chiaramonte Gulfi

A margine della terza passeggiata sotto le stelle, dedicata alla chiesa di S. Vito, ecco alcune notizie storiche:
da un dipinto di Giorgio Distefano 



Appunti per una storia della
Chiesa di  S.Vito – Chiaramonte Gulfi (rg)



Nell'antico abitato di Gulfi –  distrutto nel 1299 durante la guerra del Vespro da Ruggiero Lauria  al comando di un drappello filo angioino –  era esistente una chiesa dedicata al protomartire San Lorenzo (ubicata nella omonima contrada -  ritrovata e indagata di recente, 2009 )
Nella rinata città che prese nome dal fondatore e signore Manfredi Chiaramonte, una delle prime chiese fu dedicata al martire S. Lorenzo: sorse fuori dalla cinta muraria nel quartiere popolare di sud ovest, al limite estremo del borgo.
Nel XVI secolo, infuriando la peste, i cittadini chiaramontani si votarono a S. Vito, eleggendolo protettore della città ed in seguito patrono, dedicandogli la chiesetta di S. Lorenzo cui fu riservato solo un altare.
Le fasi di ampliamento, restauro, ristrutturazione o ricostruzione dell’edificio sacro, sono ipotizzabili solo attraverso vaghi e frammentari riferimenti storici, documentali, di memoria e tradizione popolare.

Alcuni punti fermi potrebbero essere:

- metà del secolo XVI (tra 1530 e 1550): elezione di S. Vito a patrono e dedicazione dell’edificio sacro preesistente (intitolato come detto a S. Lorenzo protomartire) con ovvie modifiche o ristrutturazioni per adattarlo al nuovo titolare;

- 1530 una confraternita laicale “sotto titolo di S. Vito” si riunisce  in questa chiesa (1)

- 1572 fiera di S. Vito: in un documento conservato all’archivio di stato di Ragusa, già citato nel secolo scorso dal Melfi (2) e riproposto integralmente dal Prof.  Giuseppe Raniolo (3),  si statuisce la gestione e realizzazione della solenne fiera in occasione dei festeggiamenti patronali;

- 1591 la chiesa è gestita dai carmelitani, chiamati dalla “Università” a curare culto e chiesa;

- 1616  Precetto per la celebrazione di S. Vito il 15 giugno di ogni anno: privilegio concesso dal vescovo di Siracusa mons. Giovanni Torres nel 1616;  attestato dall’editto del 1 giugno del parroco di S Maria La Nova Mariano Cutraro. Documenti in P. Samulele Nicosia, Notizie storiche su Chiaramonte (4).

- 1650 la chiesa ha 10 altari: citata  nella relazione sullo Stato dei regolari, redatta dagli ordini religiosi su richiesta di papa Innocenzo X (oggi nel fondo dell’Archivio Segreto Vaticano) (5).

- 1662 la chiesa ampliata  dalla parte di Levante: il Melfi trascrive  un documento rinvenuto nella biblioteca di Palermo (6) testo di una epigrafe; molto simile a quella esistente nella chiesa, con stessa data 1662.

-1693 colpita dal sisma, la chiesa però non crolla del tutto: lo si può dedurre e rilevare dall’utilizzo, attestato nel registro dei morti della chiesa madre, per la sepoltura di alcuni deceduti nel sisma (7).

- Primi anni del secolo XVIII:  un intervento di restauro e ristrutturazione a seguito dei danni del terremoto, non attestato esplicitamente da alcun documento, ma ovvio anche perché tramandato dagli storici locali e dalla memoria popolare.

- 1719 Benedetto Cultraro, scultore chiaramontano, realizza il ferculo processionale per la statua di S. Vito; legno intagliato scolpito e indorato (8)

- 1733 ulteriore intervento di restauro e abbellimento: decoro con stucchi e sette altari in marmo; (9)

- tra fine settecento ed inizio ottocento: altro intervento. Testimoniato dalla presenza dello scultore catanese  Carmelo Bonaventura, autore dell’altare maggiore (notevoli le virtù teologali in marmo di Carrara) e di alcuni altari minori. Nei registri di esito 1798/1803 c. (10)

- 1870 c. Rosario e Mariano Distefano lavorano agli ornati e sculture del nuovo prospetto

- 1893 Gaetano Distefano consegna il quadro dell’altare maggiore raffigurante  S. Vito che compie un miracolo alla presenza dell’imperatore Diocleziano (11)

- 1900-1910 Nicolò Distefano dipinge i quadroni della volta (12); contemporaneo un intervento all’interno della chiesa;

- 1910 altri restauri (voluti dal sac. Mariano Ferrante, rettore della chiesa) documentati nei registri di Introito ed Esito della chiesa

(sopra) Antica foto con il vecchio campanile -
(sotto) Costruzione del nuovo campanile (1930)
con accanto il vecchio in avanzata fase di demolizione
- 1926 nuovo campanile edificato dai mastri Calabrese su progetto dell’ing. Giuseppe Gafà (1897 - 1973). Una delle prime opere. Ultimato nel 1930 c.
In una foto antica, si notano i due campanili, il vecchio in demolizione e il nuovo in costruzione; un’altra foto, di proprietà della figlia, mostra la stessa fase e la presenza dell’ing. Gafà e del rettore Mariano Ferrante.

[Archivio Pino Riggio - Chiaramonte Gulfi]

Archivio famiglia R. Gafà


Interno della Chiesa - Foto S. D'Amato  30 luglio 2016.



















NOTE:

(1) Notizia in Melfi (La Sicilia sacra, Palermo 1900, pagina 108).

(2)  C. Melfi, Chiaramonte divota, Ragusa, Tip. Ed. Destefano, 1909;  Id, Cenni storici sulla città di Chiaramonte Gulfi, Ragusa, Tipografia Destefano, 1912.

(3)  G. Raniolo, Introduzione alle consuetudini ed agli istituti della Contea di Modica. Vol. II°, Modica, Ed. Associazione culturale “Dialogo”, 1987; pag.

(4) S. Nicosia, Notizie storiche su Chiaramonte Gulfi,  Ragusa, Tipografia Piccitto & Antoci, 1882; pp. 169-170.

(5) Carmelitani (Provincia di S. Alberto) - Le date di fondazione del convento oscillano tra il 1591 ed il 1596.; la Chiesa di S. Vito fu  concessa dalla confraternita; nel 1650 aveva 10 altari e quello maggiore patronato a D. Filippo Ventura, UJD, barone del Lago. I frati, 4 sacerdoti e 2 novizi, dimorano in case private.
 L’Ordine della B. Vergine del Monte Carmelo o Carmelitani era diviso in Sicilia in due province religiose: S. Alberto e S. Angelo. I dati relativi al convento e chiesa di quest’ordine religioso si trovano pure presso l’Archivio generale Carmelitani.

6) Francisci patris divo Ventura sacellum sumptibus erectum, hoc dasque benigno Vito, iuris doctoris nati carique Philippi. Hinc terrae et coeli premia digna ferent 1662 (Melfi, Chiaramonte divota, cit, pag.72).

(7) Documentazione in G. Cultrera, L. Lombardo, 1693 Lo spazio di un miserere. Cronache del terremoto nel Val di Noto, Chiaramonte G., Utopia edizioni, 1995; pagg. 56 e segg.
(8) Melfi, Cenni etc., pagina 176; Id. La Sicilia sacra, pag.109; Ragusa, Il simulacro e il Santuario, pag.15

 11) P. Samulele Nicosia, Vita del martire S. Vito, Ragusa, Tip. Picciotto & Antoci, 1875

12) In Registri di Introito ed Esito della chiesa di S. Vito, 1909: foglio 52 pagati £ 250 per i 5 quadri della volta, e £ 120 per i 4 delle finestre laterali.



Bibliografia
P. Samulele Nicosia, Vita del martire S. Vito, Ragusa, Tip. Picciotto & Antoci, 1875
P. Samuele Cultrera,  S. Vito Martire, Catania, 1936.
Campanile della chiesa di S. Vito
  V. Amico, Lexikon Topographicum Siculum, studium et labore S. T. D. D.  Viti Amico et Statella Ordinis Sancti Benedicti. 3 voll.; Panormi, excudebat Petrus Bentivegna, 1757; Catania, 1760.
Edizione in italiano: Dizionario topografico della Sicilia, tradotto dal latino ed annotato da Gioacchino Di Marzo, 2 voll., Palermo, 1855-56.
S. Cucinotta, Popolo e clero in Sicilia nella dialettica socio-religiosa fra cinque-seicento. Messina 1986.
G. Cultrera, Chiaramonte Gulfi, breve guida alla città, Ragusa, 1993
G. Cultrera, Itinerario ibleo, Chiaramonte G., Utopia edizioni, 1993
G. Cultrera, L. Lombardo, 1693 Lo spazio di un miserere. Cronache del terremoto nel Val di Noto, Chiaramonte G., Utopia edizioni, 1995
G. Iacono, Guida alla provincia di Ragusa, Palermo, 1985,
C. Melfi, Chiaramonte divota, ossia, Raccolta di esercizi sacri e resoconto storico artistico, religioso delle varie chiese del Comune, per Corrado Melfi e Melfi Barone di S. Giovanni e Santa Maria cameriere segreto di Spada e Cappa di S. S: Leone XIII. Ragusa, Tip. Ed. Destefano, 1909
C. Melfi, Cenni storici sulla città di Chiaramonte Gulfi, Ragusa, Tipografia Destefano, 1912
C. Melfi, Le opere del Mancino e del Berrettaro in Chiaramonte, Noto, Tip. Zammit, 1929.
S. Nicosia, Notizie storiche su Chiaramonte Gulfi, pel P. Samuele Nicosia Cappuccino. Ragusa, Tipografia Piccitto & Antoci, 1882; (ripubblicato, Ragusa Rotary club, 1995)
R. Pirro, Sicilia sacra, Panormi 1694
G. Puccio, Cenni corografici sulla città di Chiaramonte Gulfi nel 1908, Ragusa,1910
G. Ragusa, Il simulacro e il santuario, Chiaramonte Tip. Fornaio, 1962
G. Ragusa, Chiaramonte nella storia di Sicilia, Modica, F. Ruta, 1986

G. Raniolo, Introduzione alle consuetudini ed agli istituti della Contea di Modica. Modica, Ed. Associazione culturale “Dialogo”, Vol I° 1982, vol. II° 1987.

venerdì 5 agosto 2016

Edicola sacra di c.da Piano dell'Acqua. Com'era. Scheda.

Com'era l'edicola di Piano dell'Acqua, di recente restaurata su sollecitazione di un comitato spontaneo; intervento a cura di Carmelo Battaglia (struttura lapidea) e Raffaele Catania (restauro pittorico dell'icona) e di parecchi altri (che ometto, per evitare dimenticanze - che saranno citati in occasione della inaugurazione del 13 c.).
Com'è dopo il restauro sarà oggetto della prossima scheda - che sarà pubblicata successivamente alla "svelata" ed inaugurazione, per non togliervi piacere e sorpresa!

Ph: Vincenzo Cupperi (1989)



Ubicazione: Contrada Piano dell’Acqua, Chiaramonte Gulfi (RG),

Tipologia     Edicola  (cm. 150 x 350 x 100) in muratura (zoccolo)
                     e pietra intagliata

Soggetto      Madonna di Gulfi
                     Icona (cm. 60 x 75) su pietra dipinta (secolo XIX),
                     raffigurante la Madonna di Gulfi, nel parato proces-
                     sionale, fra i Santi Giovanni Battista e Vito.

Stato di conservazione    Precario: sia struttura che icona.
                    Anche l’intervento più recente (con la ricollocazione
                    della cuspide con croce, ripitturazione dell’immagine
                    e consolidamento della muratura) non è riuscito a
                    fermare lo stato di deterioramento del manufatto

Storia            Fu fatta costruire dalla famiglia Rizza, proprietaria del
                    fondo sul cui lembo estremo è situata. Don Vito Rizza
                    (prima metà dell’ottocento) fu notabile ed esponente
                    politico di spicco a Chiaramonte; suo figlio, Evangelista
                    Rizza, fu senatore del Regno d’Italia nei primi del ‘900.

                    In occasione delle Cappelluzze, ad agosto, veniva ornata
                    e vi si svolgevano i tradizionali festeggiamenti.

                    Indicata sulla carta IGM.




Nota 
Notizie tratte da:  Giuseppe Cultrera, IL SEGNO E IL RITO,
Edicole, cappelle e luoghi sacri nel paesaggio umano
di  Chiaramonte. Fotografie  di Vincenzo Cupperi
( Utopia Edizioni, 2007).

Nota sulla Grotta di S. Margherita

C.da S. Margherita: Antico frantoio  (sec. XVIII)

 Nella contrada piano Grillo (piano d'Acrille?) sorge un antico ipogeo sacralizzato e dedicato da antica data al culto di S. Margherita (denominazione anche della contrada limitrofa); accanto un altro ipogeo è stato trasformato in frantoio (al quale si aggiunse in seguito un corpo in muratura, sec. XVIII); attorno antichi ulivi. Mercoledì 17 agosto visiteremo questo "posto" antico e misterioso. Vi aspetto!

Per chi vuole informazioni ecco 3 schede tratte da Il segno e il rito (2007).




La grotta di S. Margherita

La presenza più antica è senz’altro la grotta di S. Margherita, posta a circa un chilometro dal Santuario di Gulfi, tra la vallata che degrada verso la marina e la corona di monti che segnano il confine col territorio di Monterosso Almo a nord est, e con quello di Giarratana e Ragusa a sud est. E’ d’epoca paleocristiana, almeno per quanto riguarda la struttura cultuale, o tutt’al più alto medioevale: farebbero propendere per quest’ultima datazione i resti di affreschi di una Crocifissione, e le fioche tracce, sulla destra, dell’effigie della titolare.6

Il Melfi ipotizza l’uso cultuale della grotta fin dal III° secolo, con un incremento nel periodo in cui nel bosco circostante era consentito lo jus pascendi e lignandi (sec. XIV/XV°); e con ancora un ritorno di devozione popolare dal post terremoto (secolo XVIII°) quando la zona era stata tutta disboscata ed oggetto d’intenso utilizzo agricolo. Oltre alla tenace devozione per la santa taumaturga, con assidua frequenza al luogo sacro, il popolo celebrava ogni anno, il 20 luglio, una festa con rito processione e funzione religiosa. Almeno fino al 1838.7


6) Il Messina (Le chiese rupestri del Val di Noto, Palermo 1994) che di recente ha analizzato le due raffigurazioni, le ritiene di epoca più recente. «L’iconografia è ancora quella medievale, ma non lo è più la tavolozza dei colori (sec. XVI)» scrive a proposito del frammento pittorico di S. Margherita; ed a proposito della Crocifissione: «il pannello non è palinsesto. Lavoro popolare del secolo XVIII», ivi pagina 103.
Sulla grotta di S. Margherita esiste un’ampia bibliografia. Il saggio più ampio, ed il primo cronologicamente, è La grotta di S. Margherita in Chiaramonte di Corrado Melfi (Noto, Zammit, 1927): Con più riscontri filologici se ne occupano: G. Agnello, Santuarietti rupestri cristiano- bizantini, in “Nuovo Didaskaleion”, IV, 1950-51, pagina 25 e segg.; G. Agnello, L’architettura bizantina in Sicilia, Firenze 1952 (pagina 253 e segg.); G. Agnello, Le arti figurative nella Sicilia bizantina, Palermo 1962, pag. 268 e segg.; O. Garana, Le catacombe siciliane e i loro martiri, Palermo, Flaccovio. 1961, pagina 93; A. Venditti, Architettura bizantina nell’Italia meridionale, Napoli, 1967, pagina 213; G. Di Stefano, La regione camarinese in epoca romana: Appunti per la carta archeologica, Ragusa 1985 (pagina 121 e segg.); G. Di Stefano, Recenti indagini sugli insediamenti rupestri dell’area ragusana, in “Atti VI° Conv. Intern. Di studio sulla Civiltà Rupestre Medievale nel Mezzogiorno d’Italia” Galatina, Congedo ed., 1986; ed infine il citato Messina, Le chiese etc., Palermo 1994 (pagina 102 e segg.).
7) C. Melfi, La grotta, op. cit. pagina 16; si trova, inoltre, citata fra i luoghi di culto, extra moenia, esistenti nel secolo XVIII°, ed ha per cappellano un certo Sac. Francesco Rosso (Melfi, Chiaramonte divota, op. cit. pagina 230).



       
 La grotta di S. Margherita: il drago e la vergine
 
La leggenda che si lega alla chiesetta rupestre di S. Margherita (nella omonima contrada su un altopiano prospettante la città di Chiaramonte e poco distante dall’antico abitato di Acrille/Gulfi) ha due anime una popolare, con forte connotazione magico sacrale, l’altra più colta e permeata da sostrati storico eruditi.
Narra la prima, riportata dal Pitrè nel suo Archivio storico, che una ragazza chiaramontana di nome Margherita spesso si recava nel bosco sottostante la città per portare da mangiare al padre lì impegnato a pascolare il gregge. Attraversava quel bosco un ruscello dalle limpide acque, dove erano scomparsi misteriosamente dei fanciulli. Perciò tutti i genitori ripetevano ai figli di tenersi lontano da quel luogo.
Invece Margherita, fosse curiosità o improvvisa sete, al ruscello si avvicinò: e scoprì il mistero, che era un enorme e terribile serpente. Atterrita la ragazza invocò la santa protettrice, che le apparve per rassicurarla ed uccidere con un dardo il serpente.
Attratti dalle grida della fanciulla accorsero i pastori ed i porcari che pascolavano i loro armenti nel sottobosco e videro il miracolo già compiuto. S. Margherita li tranquillizzò e li invitò a penetrare nell’antro del mostro; dove trovarono le ossa dei bambini uccisi ed una gemma enorme (quanto un’arancia!).
«Distruggete l’antro – ordinò la Santa – ed al suo posto che vi sorga una chiesa». Lì S. Margherita imprigionò il diamante.
Chi vorrà cimentarsi nell’impresa di svelare l’incantesimo dovrà andare scalzo nei Luoghi Santi in Palestina e lì piangere e digiunare per tre giorni e tre notte di seguito sul monte Calvario; quindi tornato a Chiaramonte sarà in condizione di estrarre il diamante per consegnarlo al Gran Turco come riscatto dei Luoghi Santi, che così finalmente verranno restituiti ai cristiani.
La seconda versione fa anch’essa riferimento, ma più esplicitamente, alla foresta di S. Margherita, dove vigeva lo jus pascendi concessione accordata dal “buon” Manfredi Chiaramonte fondatore nel XIII° secolo della città.
Nella vallata di questa foresta, solcata dal ruscello, viveva un grosso serpente che il popolo chiamava culorva, e che invano aveva tentato di uccidere con le armi e fin anco col fuoco appiccato alla foresta. Quest’ultimo atto, però, indignò il conte Manfredi, proprietario della foresta, che annullò il diritto di pascolo. Il popolo allora si rivolse a S. Margherita: che apparve sotto forma di monachella, sconfisse la culorva e intenerì il cuore del signore Manfredi, che riconcesse lo jus pascendi. Il popolo per ringraziare la Santa fece effigiare, nella grotta-chiesetta medievale lì presso ubicata, S. Margherita e da quel giorno la venerò e solennizzò con una festa popolare.
Nessun accenno, in questa seconda versione, al tesoro. O forse un tesoro c’è: quello, più prosaico ma reale, del tozzo di pane conquistato utilizzando il bosco!


 













SCHEDA   

87 ~ S. Margherita, grotta, affresco su calcare tenero, contrada S. Margherita.

Affresco popolare in ipogeo sacralizzato (utilizzato fino al 1838).
«La grotta è aperta in  un declivio di conglomerato alluvionale poco adatto al taglio. […] Lo scavo dell’ambiente è stato eseguito sulla base del palmo siciliano. E’ profondo m. 6,70 (= 26 palmi siciliani), largo all’ingresso m. 2,45 e al fondo m. 2,80 (= 11 palmi sic.) con ul leggero svaso. Il soffitto è a botte ribassata e la parete di fondo è bombata a m0’ di abside e su di essa si incurva la parte terminale del soffitto. Sul fondo è un altare murale, largo m. 1,10 e profondo m. 0,70. Subito a destra dell’ingresso è un piccolo vano completamente interrato.
Il mancato rispetto dell’orientamento canonico, l’impiego della volta a botte ispirata ai dammusi siciliani e la metrologia “moderna”, non permettono una datazione precedente al secolo XVI. […]
S. Margherita. Il pannello è collocato circa al centro della parete destra. Si conservano solo alcuni brandelli con gli attributi iconografici della santa (il martello, il drago in catene).

Il pannello (m. 1,20 alt. x 0,50 largh.) ha una riquadratura gialla campita su fondo nero. Il fondo del pannello è rosso. Il capo con nimbo giallo perlato, è coperto da un velo marrone. Didascalia a destra del volto M[argarita]. L’iconografia è ancora quella medievale, ma non lo è più la tavolozza dei colori (sec. XVI).
Crocifissione. Pannello circa quadrato posto sopra l’altare, con larga cornice gialla che imita le venature del legno. Il Cristo sul Calvario è ben conservato. A destra Giovanni con veste verde e manto rosso, regge il Vangelo. A sinistra la Vergine con veste rossa e manto verde, è stata deturpata nella parte superiore. Il pannello non è palinsesto. Lavoro popolare del secolo XVIII» (A. Messina, Le chiese rupestri del Val di Noto, Palermo, 1994; pagina 102)
 
Bibl.: C. Melfi, La grotta di S. Margherita in Chiaramonte, Noto, 1927; G. Agnello, Santuarietti rupestri cristiano.-bizantini della Sicilia, in «Nuovo Didaskaleion» IV, 1950-51, pag. 25; Id. L’architettura bizantina op. cit. pag.253; Id. Le arti figurative, op. cit. pag.268; O. Garana, Le catacombe siciliane op. cit. pag 93; A. Venditti, Architettura bizantina nell’Italia meridionale, Napoli, 1967, pag. 213; G. Distefano, La regione camarinese op. cit, pag. 121; Id. Recenti indagini op. cit. pagina 266; G. Cultrera, Il paese sul monte , Chiaramonte 1992; pagina 112; Id. L’ulivo saraceno , Chiaramonte, Utopia Edizioni, 1997, pag. 164; A. Messina, Le chiese rupestri, op. cit. pagina 102 e segg.

Notizie tratte da >> Giuseppe Cultrera IL SEGNO E IL RITO, Edicole, cappelle e luoghi sacri nel paesaggio umano di Chiaramonte, Chiaramonte, Utopia Edizioni, 2007.


giovedì 3 settembre 2015

Chiaramonte Gulfi 10.ma passeggiata. La neviera sconosciuta.

 Anche questo  è un itinerario curioso della passeggiata di domani venerdì 4 settembre



Nevaio o magazzino? *


Come ghiacciaia oppure conserva di neve è indicato, in un carteggio dell’Amministrazione del Demanio e delle tasse 1879-87, un edificio al limitare nord del paese (oggi ultimo tratto della via Guastella), in parte scavato nella roccia in parte costruito in muratura. La denominazione di neviera è invece riportata nell'antico catasto dei fabbricati. Appartenne nell'ultima sua fase a Mastro Salvatore Marletta, carrettiere e trasportatore della neve.
A mio parere più che nevaio, per lo stipaggio e conservazione del prodotto fino al periodo estivo, era un deposito temporaneo dei blocchi già estratti dalle neviere, in attesa della distribuzione e dell’utilizzo, nello stesso paese o in qualche località vicina.
L'ampia porta d'accesso suffraga ancor più la tesi su esposta che, più che ambiente di raccolta e conservazione della neve ghiacciata, sia stato un deposito, temporaneamente utilizzato, da cui attingere il prezioso ghiaccio necessario al paese per usi medici, culinari e di conservazione di prodotti deperibili.

Fu proprietà, fino al 1879 della chiesa del Salvatore, che la concesse in locazione a vari imprenditori tra cui «Scollo Vito di Carmelo di Chiaramonte» per «annue lire 20 e centesimi 30 per la durata di anni tre a semestre anticipato a partire dal 1 ottobre 1876 al 20 settembre 1879, giusto il contratto 8 giugno 1877»; successivamente pervenne al sig. Cosenza Benedetto, che l’11 dicembre 1886 l’ufficio del Registro di Chiaramonte certifica essere ultimo e legittimo proprietario «della ghiacciaia sita in Chiaramonte, proveniente dalla Chiesa del SS.mo Salvatore» dettagliatamente descritta nell’allegato estratto dai registri catastali: «Conserva di neve in contrada Dimanio e Santa Maria di Gesù tenere di Chiaramonte … Il detto immobile confina a sud col piano del Carmine e la detta Chiesa, da est ad ovest con terreno Comunale e da nord con la strada rotabile da Chiaramonte a Ragusa». [Archivio di Stato. Fondo Culto SR; vol.B n.9, Fasc. 38. Devo la copia, alla cortesia di P. Salvatore Azzara.]

*  Magazzino / neviera, Chiaramonte Gulfi. quartiere S. Maria di Gesù; quota m. 670. Nell’antico catasto dei fabbricati di Chiaramonte è indicata con la denominazione di «nivera» ed ubicata all’inizio della via Riformati (oggi via S. A. Guastella).


Chiaramonte Gulfi 10.ma Passeggiata sotto le stelle: Notizie, schede e anteprima...

Il convento e la chiesa di S. Maria di Gesù


Il sito

Il complesso edilizio del Convento e della Chiesa di S. Maria di Gesù occupa il lembo estremo dell’abitato di Chiaramonte Gulfi, nella parte più alta del colle, proprio accanto all’antico nucleo medievale. L’espansione urbana, coeva e successiva alla costruzione del Convento, ha solo sfiorato, da nord est, il complesso monastico lasciando aperto lo spazio a sud ovest nella cui parte alta, nel 1834, fu ubicato il cimitero. Due antiche strade lambivano il fabbricato: a destra (quella che conduceva alla zona montana ed a Ragusa) e a sinistra (quella che metteva in comunicazione la chiesa delle Grazie e la sorgente delle pozzie con il centro urbano).


Il complesso monastico

La Chiesa ed il Convento di S. Maria di Gesù rappresentano una delle principali emergenze architettoniche di Chiaramonte Gulfi.
La Chiesa prospetta sul cosiddetto piano di Gèsu, delimitato da due ali di fabbricati civili ed introdotto da una croce di ferro con base e colonna in pietra, contrassegnata dal simbolo francescano.
Alla sua destra si appoggiano i tre corpi del fabbricato del Convento, al cui centro si apre l’elegante Chiostro con pozzo-cisterna. La silva (che oggi risulta notevolmente ridimensionata, essendo parte nel secolo XIX assorbita dal cimitero e parte successivamente rimaneggiata o trasformata), si estende ad occidente con eleganti viali e tracce d’arredo ed ornamenti.
Il Convento, che si sviluppa su due piani, ha tre corridoi intorno all’antico chiostro più un’ala che si allunga sul lato meridionale.
I locali del piano terreno sono adibiti ad attività di impegno cristiano e socio culturali mentre i religiosi occupano parte del piano superiore, oggetto di interventi di ristrutturazione recente, con la quale è stata recuperata la parte che versava in precarie condizioni.


Il convento dei Frati Minori Riformati

Fin dal secolo XVI alcuni Frati Minori erano presenti in Chiaramonte, ed alloggiavano nel piccolo convento adiacente alla chiesa di S. Giovanni Battista1.
Nel secondo decennio del XVII secolo fu avviata la costruzione, «nella parte più elevata dell’abitato al termine del sestriere della Cuba»2, di una piccola chiesa e di un convento per ospitare quella comunità di Frati Minori, che era stata invitata dalla “Università” e da alcune famiglie nobili.
La fondazione del Convento è attestata da fonti documentarie contemporanee o di poco posteriori.

La prima fonte è l’opera del P. Pietro Tognoletto, Paradiso serafico,(due voll. Palermo 1657, 1687)3, che desume da atti interni dell’ordine, gli avvenimenti relativi ai frati minori dal 1615 al 1651. E’ certamente la fonte più informata, sia per l’utilizzo di testimoni oculari e documenti coevi, che per l’autorevolezza e la competenza del compilatore. Da essa apprendiamo che «nel capitolo celebrato in Palermo nel 1620 […]  si determinò la fondazione del convento nella città di S. Filippo, e un altro in quella di Chiaramonte»4.
E poco oltre lo storico francescano, con maggiori dati, ribadisce: «In quest’anno (1620) fu fondato ancora dallo stesso P. Custode il P. F. Egidio, un altro Convento sotto titolo di S. Maria di Gesù nella terra di Chiaramonte, diocesi di Siracusa»5
La seconda fonte, all’interno della stessa opera, è la «notazione» in un antico manoscritto della Provincia monastica di Siracusa, che conferma l’avvenimento, ma con un’indicazione cronologica diversa (certamente più attendibile), del 6 agosto 16196
 La terza fonte è la relazione «Sullo stato dei Regolari» relativa a questo Convento (Archivio Segreto Vaticano, vol. 24), nella quale si indica come data di fondazione il 31 agosto 1620, ad opera dei Giurati che concessero il terreno per fabbricare il convento, due cantara di carne e due barili di tonnina l’anno, medici e medicine gratis, 100 scudi della gabella delli Demanij e 85 l’anno per la fabbrica del convento7.
Lo storico locale Corrado Melfi pone l’inizio dei lavori, per la costruzione di chiesa e convento, il 6 agosto 1619 (concordando con la cronaca della Provincia Monastica di Siracusa) e la conclusione nell’anno successivo, quando «i frati in numero di 15 passarono ad abitarlo»8.
Il Convento fu ingrandito e portato a temine nel 1637, data ricordata in una delle colonne del chiostro: per la sua ampiezza è il primo tra i Conventi del Comune di Chiaramonte Gulfi.
Nel 1650, constava di 15 celle ed era abitato da 14 individui di cui  5 sacerdoti, 3 chierici, 5 laici e un terziario9.
I lavori definitivi di ampliamento del Convento e della Chiesa (quella primitiva era molto più piccola), avvengono tra il 1655 e il 1657 (questa data è visibile tutt’oggi in un pilastro delle colonne dell’atrio).
Un successivo intervento è databile ai primi anni del XVIII secolo, a seguito del disastroso terremoto del 1693. Tracce evidenti sono nelle strutture, oggetto di consolidamento con ripristino o modifica di parti.
Nel 1788 nel Convento si celebrò il Capitolo Provinciale, come si legge nell’architrave della porta d’ingresso: «Die 17 Junii 1788, in hoc venerabili conventu S. M. Jesu, tempore gubernationis R. P. Josephi M. Comisi Casmenarum O. Ref. S. Francisci celebratum fuit capitulum provinciale».
Nel 1866 il Convento fu chiuso per la legge di soppressione; fu riaperto nel 1890 ad opera del chiaramontano P. Filippo Sansone.
Nel secolo XX vengono operati interventi di modesta entità10. I principali:
– l’11 luglio 1918, P. Daniele Cultrera affida al Sig. Gianninoto Salvatore i lavori di ricostruzione dell’arcata Sud del Chiostro e di intonacatura di tutto l’interno del Chiostro del Convento; 
– nel 1930 viene effettuato il restauro della grande vasca dell’orto, detta il “Gebbione” ed il completamento del muro dell’orto, incrementato nella parte superiore;
– nel 1931 furono sistemati i muri dell’orto e quello attiguo alla carretteria ed iniziati i lavori di restauro della copertura del Convento e della Chiesa;
–altri lavori di risistemazione nel 1932, fra i quali il restauro di diverse stanze del Convento e degli infissi, l’inserimento di tre finestre nuove nelle stanze a mezzo piano.

Ma il lento degrado rese, dal dopoguerra, inutilizzabile gran parte della struttura: negli anni ’80, dopo un sommario restauro, erano fruibili nove camere per abitazione, una sala adibita a biblioteca ed una sala d’attesa. Nell’ala nord l’antico noviziato restò abbandonato ed in precarie condizioni.
Gli interventi di consolidamento della struttura e di restauro, condotti dal 2002 al 2004, hanno riconsegnato l’antica struttura alla completa fruibilità.


La chiesa

La chiesetta di modeste dimensioni intitolata a S. Maria dell’Itra12 venne ampliata ed abbellita da due cappelle laterali (a sinistra) a partire dal 1655.
Nel 1663 fu edificata, a spese della famiglia Cutello, l’elegante cappella dove venne posta la statua in marmo della Madonna con il Bambino, proveniente dalla chiesa di S. Sofia, chiusa al culto. Fu allora che la chiesa prese il nome di S. Maria di Gesù.
L’altra cappella, opera dello scultore Simone Mellini, più antica (sec. XVII) conteneva il crocifisso in legno, a grandezza naturale, opera dello scultore francescano Fra Umile da Petralia. In essa è d’interesse artistico il paliotto d’altare, opera datata (1711) e firmata dallo scultore chiaramontano Benedetto Cultraro.
Sul finire del secolo XVVIII  fu elegantemente decorata con stucchi la cappella centrale da Giovanni Gianforma (indicazione degli storici locali) o da artisti della sua bottega.
Tra fine ottocento ed inizio novecento vengono realizzati i tre grandi dipinti nella volta centrale, dal pittore chiaramontano Nicolò Distefano.
Oltre al pregevole crocifisso ligneo di Fra Umile da Petralia, la chiesa contiene altre pregevoli opere:
il dipinto della Pietà, ritenuto di Mattia Preti, ma sicuramente opera di scuola tardo caravaggesca, con riferimento stilistico ed iconografico al Preti;
il dipinto S. Anna, attribuito ad un Su Matteo, artista chiaramontano di fine XVII secolo;
il dipinto raffigurante S. Francesco d’Assisi, firmato e datato Antonino Minoli, 1723.

Per una analisi  specifica di alcune delle opere esistenti nella chiesa si rimanda alle schede di seguito dettagliate.



Schede di alcune opere d’arte presenti nella chiesa

1 - CAPPELLA CENTRALE  (abside)

ATTRIBUZIONE: Bottega dei Gianforma
EPOCA: sec. XVIII
MATERIALE E TECNICA: Stucchi bianchi e colorati
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Buono. Si notano delle ridipinture. In corso restauri.
DESCRIZIONE: Quattro colonnine tortili, per un terzo decorate a rilievi con putti, rami, foglie, fiori e altri motivi ornamentali, con capitelli corinzi, s’innalzano su un bastimento, alto circa m 1,90, che sembra aver sostituito i piedistalli originali. Lungo le spirali corre pure una decorazione di rami, foglie, rose, putti, tralci, grappoli e pampini. Due semicolonne scanalate fiancheggiano le colonnine tortili. Su queste poggia una trabeazione fortemente aggettata. Fra le due colonnine è una cartella barocca sostenuta da una figura mitologica. Dai tratti di trabeazione, fino al centro dell’arco scemo, si stende, in stucchi, un ricco drappeggio con al centro una cartella con lo stemma dell’Ordine, sostenuto da due angeli. Movimento di putti, di diversa grandezza che si affannano a sostenere il drappeggio.



2 - CROCIFISSO

AUTORE: Gianfrancesco Pintorno ( Fra Umile da Petralia) (Petralia Soprana 1600 – Palermo 1639)
EPOCA: primo quarto del sec. XVII
MATERIALE E TECNICA: legno intagliato e colorato,
MISURE: cm 182 ca

Il Crocifisso di Chiaramonte Gulfi  (*)  è tra i più bei Crocifissi di Frate Umile, in esso è possibile constatare tutte le varie caratteristiche tipiche della sua arte: dal movimento sinuoso del corpo all’inconfondibile forma del perizoma; dalla spina, della folta corona, conficcata nel sopracciglio sinistro all’abbondante sangue proveniente dalla ferita del costato; dai segni evidenti ai polsi e alle caviglie provocati dalle funi alle varie tumefazioni e segni delle percosse in tutto il corpo. Ed ancora altri particolari come la spina conficcata nell’orecchio sinistro, la ferita nelle spalle, la lingua che s’intravede dalla bocca semiaperta in cui sembra cogliere l’ultimo respiro, il braccio sinistro rigonfio (particolare quest’ultimo che si ripete soprattutto nel soggetto dell’Ecce Homo). Particolarmente curato è il volto, dall’espressione altamente drammatica, dove ogni particolare è trattato con grande maestria e verismo. Per il fatto che nel tempo quest’opera non ha subito determinati manomissioni (qualche ritocco sparso particolarmente evidente nella coscia sinistra e nel volto), è possibile studiare, in essa, come l’artista realizzava pittoricamente le ferite e la conseguente distribuzione del sangue nell’intero corpo del Cristo. Anche se ingiallite dall’ossidazione delle vecchie vernici, le tonalità dell’incarnato sono, come del resto in tutti Crocifissi di Frate Umile, assai delicate e chiare, come esigeva il gusto dell’epoca. Spesso si fa molta confusione nel vedere un’opera scultorea dalle tonalità scure, dovute quasi sempre all’annerimento causato dal fumo delle numerose candele votive, alla ossidazione delle vecchie resine, olii, ecc. 
Da questo causale fenomeno di degrado, non di rado sono stati attribuiti gratuitamente appellativi assai suggestivi legati soprattutto al soggetto del Crocifisso denominandolo più volte «nero». Una patina acquisita dunque, che il più delle volte nasconde le vere ed originali cromie dell’opera d’arte.
Il Crocifisso di Chiaramonte Gulfi, è uno dei pochi, fra quelli ancora esistenti, che possiede la componente dell’Angelo che regge il cartiglio con la scritta I.N.R.I., in cima alla Croce. L’Angioletto, anch’esso scolpito in legno con estrema raffinatezza, dall’espressione triste, quasi piangente, venne realizzato sicuramente dallo stesso Pintorno; fra quelli ancora esistenti questo di Chiaramonte Gulfi è davvero splendido e ispira tanta tenerezza e commozione a chi lo guarda.
(*) R. La Mattina, F. Dell’Utri, Frate Umile da Petraia: l’arte e il misticismo, Caltanissetta, 1986; pag. 76



3 – CAPPELLA
( 1°Cappella laterale di sinistra)

EPOCA: sec. XVII
MATERIALE E TECNICA: intarsio di pietra bianca su nero pece
DESCRIZIONE: Due colonnine scanalate, per un terzo decorate con teste di cherubini e motivi floreali, sorreggenti una trabeazione con frontone ad arco spezzato, delimitano l’edicola dell’altare. Le candelabre, la parte interna della nicchia semicilindrica terminante nella parte superiore con la caratteristica conchiglia, il basamento su cui poggiano le colonne e le quattro lesene agli angoli della cappella, presentano una ricca decorazione ad intarsio dove dominano i motivi floreali intrecciati con teste di puttini.


4 -  S. MARIA DI GESU’
(1°Cappella laterale di sinistra - Altare)

ATTRIBUZIONE: Al Mancino e al Berretaro, dal Di Marzo (ma sicuramente di tarda scuola gaginiana)
EPOCA: sec. XVII
MISURE: h. cm 170 ca
MATERIALE E TECNICA: marmo bianco
STATO DI CONSERVAZIONE: Buono
DESCRIZIONE: La Madonna tiene sul braccio sinistro il Bambino, che regge fra le mani il mondo, e con la destra tiene stretta una gambetta del piccolo Gesù. Viso ovale, capelli biondi, ricciuti e corti, come pure quelli del Bambino. Un ampio manto scende dalla spalla sinistra, e si raccoglie sul davanti lasciando libera la spalla destra. Dalla parte interna si notano ancora delle ridipinture in verde scuro. La veste è decorata a fiori dorati, il manto a grosse stelle.


5 - S. ANTONIO DI PADOVA
(1° cappella laterale di sinistra- partete sx)

EPOCA sec. XVIII
MISURE: : cm. 200  c. x 125
MATERIALE E TECNICA: Olio su tela
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Quasi buono – un po’ essiccata la superficie pittorica con screpolatura e caduta di pittura ai bordi.
DESCRIZIONE:. L’impostazione iconografica riporta un episodio mistico della vita del Santo: un’estasi. Il Santo è raffigurato con il Bambino tra le braccia, su un bianco lino; in alto Angeli, sospesi sulle nubi, in basso a sinistra un putto.

 
6 - S. ANNA
(1°Cappella laterale di sinistra - parete destra)

ATTRIBUZIONE: A un Su Carmelo (= Signor Carmelo), dal Melfi
EPOCA: sec. XVIII
MISURE: cm 180 ca x100
MATERIALE E TECNICA: olio su tela
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: quasi buono. Un po’ essiccata la superficie pittorica con screpolature e scrostature in basso. Restauro, non eccellente, nel 1980.
DESCRIZIONE: Nell’impostazione una scena familiare: la Madre ( S. Anna ) lascia da parte il lavoro per insegnare a leggere alla figlia ( Maria ); il padre ( S. Gioacchino ) assiste, in piedi dietro la Fanciulla. Sfondo architettonico monumentale- L’opera segue un po’ le composizioni di tipo fiammingo.


7 - Cappella  (del Crocifisso)

(2° cappella laterale di sinistra)

AUTORE: Simone Mellini (fine secolo XVI - post 1650).
EPOCA: seconda metà del sec. XVII
MATERIALE E TECNICA: pietra tenera intagliata e decorata.
DESCRIZIONE:


8 - PALIOTTO D’ALTARE
(2° cappella laterale di sinistra - altare)

AUTORE: Benedetto Cultraro (1670 – 1752)
EPOCA: 1711
MISURE: cm 200 x 100
ISCRIZIONE E DATAZIONE: “IO BENEDETTO CULTRARO DI CHIA/te L’HO SCOLPITO 1711
MATERIALE E TECNICA: scultura su pietra dura
STATO DI CONSERVAZIONE: buono
DESCRIZIONE: Da quattro personaggi che formano da lesene, è diviso in tre quadri. I due laterali sono decorati con rami, foglie e altri motivi ornamentali; in quello centrale vi sono: due colombe che attingono alla bocca di una testa che sta al centro, attorno foglie di acanto variamente disposte e altri motivi ornamentali. I motivi di rami, foglie di acanto e teste si ripetono ancora nei fregi del cornicione e delle mensole.


9 - IL CRISTO DEPOSTO DALLA CROCE
(2° cappella laterale di sinistra - altare)

PROVENIENZA: Dalla Chiesa dei Cappuccini
ATTRIBUZIONE: A Mattia Preti, dal Melfi, dal Nicosia e dal Distefano
EPOCA: sec. XVII
MISURE: cm 400 c. x 300
MATERIALE E TECNICA: Olio su tela
DATI DOCUMENTARI: Inventario delle Opere d’arte presenti al momento della soppressione nel Convento dei Cappuccini - « N.1 Quadro su tela….rappresentante l’Addolorata col….attribuito a Mattia Preti» ( Archivio C.N.)
STATO DI CONSERVAZIONE RESTAURI: restaurato negli anni ’80 ; intervento non eccellente.
DESCRIZIONE: Scena dolorosissima e umana: Su uno sfondo campito in bruno, al centro: la Madonna seduta ai piedi della croce con, sulle ginocchia, il Corpo del Cristo Morto; ai due lati S. Giovanni e la Maddalena; in basso: un putto che accarezza i piedi del Cristo. (il gruppo centrale è stato riprodotto da Simone Ventura)


10 - LA PORZIUNCOLA
(2° cappella laterale di sinistra – pareta sinistra)

AUTORE: Antonino Manoli (seconda metà del secolo XVII – prima metà del secolo XVIII)
ISCRIZIONE E DATAZIONE : (firmato e datato) Antonino Manoli ping.at  1723
MISURE: cm. 230 x 145
MATERIALE E TECNICA: olio su tela
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Buono
DESCRIZIONE: Nell’impostazione iconografica dell’opera è espresso un concetto etico-religioso: un’estasi in cui il Santo riceve il privilegio della Porziuncola. In alto sospesi su nuvole, il Cristo e le Madonna, in basso, simmetricamente divisi, sei figure di religiosi.


11. VOLTA, Tempere

AUTORE: Nicolò Distefano (1842 – 1919)
ISCRIZIONE E DATAZIONE :
MATERIALE E TECNICA: tempera
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Buono
DESCRIZIONE: Nella volta, in tre riquadri rettangolari due episodi della vita di S. Francesco d’Assisi e l’Immacolata (al centro).


10 -  S. FRANCESCO  D’ASSISI  (convento attiguo)

ATTRIBUZIONE:  Simone Ventura (Chiaramonte 1700 – post 1760), dal Melfi e dal Nicosia, G. Cultrera (Simone Ventura, 2004)
ISCRIZIONE E DATAZIONE:  in alto «tres ordines hic ordinata» in basso «fundatori suo ordo min: erexit anno iubilaei mdccxxv» «vere effigies statuae marmoreae / s.p. francisci seraphici / romae in sacrosanta basilica vaticana / ea habitus forma qua semper et a suae institutionis / primordio usa fuit francescana religio / auct.ssmi dni n.° benedicti papae xiii erectae. et e cospectu s. patriarchae dominici colocatae»
MATERIALE E TECNICA: Olio su tela
MISURE: Cm 150 x 250
DESCRIZIONE: Riproduce la statua, all’interno della nicchia, eretta nella basilica di S. Pietro in Vaticano in occasione del giubileo indetto da Papa Benedetto XIII nel 1725. Tutti i memorialisti locali (Nicosia, Melfi, Puccio) pongono la data del 1725 come quella in cui fu realizzata la tela che sarebbe, pertanto, la prima opera nota del giovane pittore. Ma, nessuna indicazione documentale, dà certezza dell’assunto. Anche se è probabile che i frati minori abbiano commissionato l’opera lo stesso anno in cui fu realizzata la statua del loro fondatore, che il Ventura avrà desunto da una stampa.
All’iconografia desunta, come detto, da una stampa del tempo, il Ventura ha aggiunto due medaglioni laterali con episodi della vita del santo: le stimmate e la visione durante la quale ricevette il privilegio della Porziuncola.
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Buono.
BIBLIOGRAFIA Doc.: Elencata al n. 5 dell’Inventario delle opere d’arte presenti, al momento della soppressione, nel convento di S. Maria di Gesù.


9 - PARAVENTO (convento attiguo)

AUTORE: PROVENIENZA:dalla chiesa di S. Caterina
ISCRIZIONE E DATAZIONE : 1820  (la data si riferisce forse a qualche restauro oppure alla sola pittura del quadro centrale)
MISURE: cm. 300 x 220; il solo dipinto cm. 120 x 70
MATERIALE E TECNICA: legno intagliato e dipinto
DESCRIZIONE: Presenta la struttura di una facciata architettonica; uno zoccolo su cui s’innalzano sei piedistalli con lesene scanalate; al di sopra una trabeazione con doppio ordine di cornice terminante con timpano a triangolo. Pendenti di foglie tra una lesena e un’altra e nei piedistalli; palmette nello spazio tra un cornicione e l’altro; al centro in basso una testa di Cherubino e foglie stilizzate- Nella parte centrale, sotto un arco a piattabanda, dipinta la scena di Gesù che scaccia i profanatori dal Tempio.


12 - S. BENEDETTO IL MORO  (Convento attiguo)

EPOCA: sec. XVII
MISURE:  cm. 200 x 1308
MATERIALE E TECNICA: olio su tela
STATO DI CONSERVAZIONE E RESTAURI: Quasi buono – un po’ essiccata la superficie pittorica con screpolature la tela è ritoccata con rattoppi.
DESCRIZIONE:. Composizione mistica: una visione. In alto la Vergine col Bambino, seduta in trono fra nuvole, con un libro aperto in mano. Ai piedi di Lei il Santo inginocchiato, con le braccia aperte e lo sguardo rivolto verso l’alto. In basso un putto con un giglio e un libro.
Sfondo campestre: scogli, mare e cielo.

Note e referenze bibliografiche
1) P. S. Nicosia, Notizie storiche su Chiaramonte Gulfi, Ragusa 1882; pagina 143. La fonte dello storico chiaramontano è R. Pirro, Sicilia sacra, Palermo 1644, notizia sulla chiesa siracusana f. 259, ed il Tognoletto, in seguito ampiamente citato.
2) C. Melfi, Chiaramonte divota, Ragusa 1909, pagina 109.
3) P. Tognoletto, Paradiso serafico del fertilissimo regno di Sicilia, volume I Palermo 1657; volume II Palermo 1687; vd. alle pagine 139, 140, 141 del vol. II.
4) Ivi pagina 139

5) Ivi pagina 140.
Stesse notizie e dati troviamo nelle opere degli storici più antichi (R. Pirro, Sicilia sacra, Palermo, 1644; V. Amico, Lexicon topographicum siculum, Palermo, 1757); che, evidentemente, desumono dalle stesse fonti.
6) Ecco la «notazione»: Conventus Sanctae Mariae de Iesu Clarimontis Terrae Illustris s. Domini Admirantis Castiliae, et Comitis Motucae, fundatus fuit a Spectabilibus Iuratis, et Universitate, die 6 Augusti 1619 Inditionis secundae tempore Custodiatus P. F. Egidy à Ianua in Diocesi Siracusarum, existente Vicario Generali R. D. Martino Celestre, situs supra Montem ad Meridiem.
7) «Sullo stato dei Regolari»   (Archivio Segreto Vaticano, vol. 24) riportato in S. Cucinotta, Popolo e clero in Sicilia nella dialettica socio-religiosa fra cinque-seicento, Messina, 1986; pag.462.
8) C. Melfi, Chiaramonte divota, Ragusa 1909, pagina 109
9) «Sullo stato dei Regolari», op. cit., pag. 462.
10) Le notizie ed i dati sono tratti da “giuliane” e “cronache” manoscritte in possesso dello stesso convento di S. Maria di Gesù di Chiaramonte.
11) «Sullo stato dei Regolari», cit.


Estratto da:  Giuseppe Cultrera, Artisti & Artigiani, Chiaramonte Gulfi, Grafiche Castello, 2003. Pagg. 43/49.